Se un giorno mi avessero detto che non avrei disdegnato le lusinghe di un ottuagenario pur di carpire il segreto dei suoi pomodori, sarei andata da uno specialista. Sono anni che mia madre me ne consiglia uno ‘bravo nel suo campo’. Avrei fatto sicuramente la sua felicità.
Mi sarei allungata sulla sua chaise longue insieme al mio inconscio e, come una Maja desnuda, ci saremmo messi a nudo anche noi: prima io e poi lui, il mio inconscio, come conviene nella pratica del raccontarsi… appunto.
Ecco e, io allora avrei approfittato dell’occasione dilungandomi sulla natura controversa del pomodoro casalino: arricciato e chiuso in se stesso, inutilmente riservato considerati i suoi toni di rosso e la dolcezza sfacciata.
“Ma che vorrà dire tutto questo?”
Andando per gradi, io e Lui, il pomodoro casalino, ci siamo incontrati in un’assolata mattinata di giugno sul ciglio della strada, della casa, di un ‘contadino gentiluomo’ che ne proponeva la vendita diretta.
E io che per tutta l’estate non ho disdegnato lo scambio con gli agricoltori rampanti di zona, non mi sono fermata all’acquisto diretto e, esattamente come ‘da cosa nasce cosa’, mi sono ritrovata a parlare di pomodori e semi antichi, addirittura autoprodotti: ‘semi di famiglia’, conservati, tramandati e riseminati col risultato certo del pomodoro preferito sempre nell’orto.
Ecco, e allora: se un giorno mi avessero detto che non avrei disdegnato le lusinghe di un ottuagenario, un ‘contadino gentiluomo’ s’intende, pur di carpire non solo il segreto dei suoi pomodori ma anche una piccola manciata dei suoi ‘semi antichi’, allora forse si che ci sarei andata da uno specialista.
“Il più bravo nel suo campo” come dice mia madre. “Il più bravo nel suo campo” come avrei preteso anche io, che di campi in genere ho sempre avuto uno scarso interesse, ancor di più di quelli da coltivare. E magari gli avrei chiesto cos’è questa mania di uscire sempre fuori ‘dal mio seminato’, per entrare in quello altrui.
“Ma che vorrà dire tutto questo?”
Che in questi anni di bloggherismo a oltranza e senza interruzioni, molti sono stati i campi esplorati, a parte quello di un bravo specialista, esperto solo del proprio.
Che orchestrare cucina, fotografia e vita già richiede numeri di prestigio e predisposizione da funamboli, ma se a questo poi si aggiungono altri ‘campi’ paralleli e più faticosi come quello della terra e dell’autoproduzione, il numero degli specialisti a sostegno delle mie infinite personalità che si moltiplicano sale e si moltiplica a sua volta.
Ad ogni modo finora l’unica moltiplicazione certa, e andata a buon fine, è avvenuta nel mio orto che ha visto crescere i pomodori casalini del mio caro ‘contadino gentiluomo’, senza traumi di distacco rispetto all’antica famiglia di provenienza. Il risultato è stato una gran soddisfazione, certo, ma ancor di più un gran piacere nel piatto.
Ecco riguardo quest’ultimo: la ricetta che ha preceduto con una certa frequenza il gelato della penombra del dopopranzo estivo, è stata quasi sempre una piadina arrotolata come un manto sul buon pomodoro ormai ‘di famiglia’. E il pomodoro non era da solo: che c’era insieme anche tanta bieta tenera tenera che questa estate ho imparato a mangiare cruda tanto è buona!
Per cui: filmetto, birra e piadina. Tutto scrupolosamente in poltrona.
E la piadina che non è mai stato il mio street food preferito, lo è diventata dal giorno in cui Claudia me ne ha proposto una piacevole alternativa.
Si tratta di una proposta che non solo elimina lo strutto ma che addirittura consente l’utilizzo del lievito madre liquido (licoli).
La ricetta di Claudia richiede un lievito rinfrescato, ma siccome io non mi comporto sempre bene in cucina, ho sperimentato la sua ricetta con lievito in esubero non rinfrescato.
Il risultato la prima volta è stato molto simile a quello che in foto avevo visto da Claudia e ci ha lasciati molto soddisfatti.
Poi nella pratica della ripetizione di ciò che ci era già piaciuto, la mia piadina ha preso altre strade a seconda del differente bilanciamento degli ingredienti sperimentato di volta volta, e assomigliando sempre di più per consistenza ad uno chapati. Da qui il nuovo modo di chiamare il nostro chapiadi: in onore alla piadina che fu e allo chapati che è diventato.
Ad ogni modo fragranza, elasticità e ‘bollosità’ sono rimaste quelle di sempre che hanno reso i nostri pasti buoni e immediati.
Ricetta dello chapiadi
Ingredienti
- 250 gr di farina semintegrale
- 20 gr di olio evo
- 100 gr di lievito liquido non rinfrescato
- 80 ml di acqua
- 1 cucchiaino di sale marino integrale
Procedimento
- Riattivare alla massima velocità il lievito con le fruste.
- Non appena in superficie compariranno bolle d’aria aggiungere l’acqua e mescolare nuovamente per sciogliere il lievito.
- Aggiungere la farina e azionare l’impastatrice con il gancio.
- Non appena l’impasto risulterà incordato aggiungere olio e sale. Impastare nuovamente.
- Se l’impasto dovesse risultare troppo appiccicoso non è un problema, perché una volta sul piano basterà lavorarlo con un po’ di farina e dividerlo in 4 piccoli panetti.
- A questo punto è possibile lasciare un po’ di tempo di riposo all’impasto, ma io ho saltato anche questo passaggio.
- Mentre una larga padella antiaderente è sul fuoco (io ho unto con un fazzoletto della carta assorbente la superficie come si fa con le crepe) si passa a stendere i panetti in una forma il più circolare possibile.
- La cottura di ogni piadina è di pochi secondi, basterà controllare la formazione delle bolle in superficie e girare sull’altro lato.
- Una volta cotte il condimento può essere di qualunque tipo, ma noi abbiamo amato particolarmente quella con pomodoro, cipolla di Tropea, bieta, speck e basilico.
Di funabolismo son purtroppo diventata maestra, con annessa prima esperienza di camminata sui trampoli ( e qui seriamente, senza metafore, giusto per gioco e diletto e per avvalorare ulteriormente l’immagine folle che ti stai facendo della sottoscritta 😉 ).
Se la piadina della mia streghetta preferita era andata dritta in archivio, sempre per il poco tempo a disposizione, la tua invece sarà presto servita sulla mia tavola. Nel breve tratto di filo che mi rimane da percorrere per arrivare dall’altra parte, senza rompermi l’osso del collo, ho giusto il tempo di far rinfreschi e salvare esuberi!
E poco importa se il pomodoro non sarà bello, saporito e grinzoluto come il tuo … penserò all’orto, alle sementi che si tramandano, alla terra solcata da mani delicate ma ostinate e mi sembrerà di assaggiare la metà della stessa farcia!
Se poi passeranno le settimana magari infilerò dentro le prime zucche o altre verdure dal sapore autunnale … ma intanto prendo esempio dal Signor Casalino e ti mando un abbraccio stretto e arricciato 🙂
Mi era già nota in altro post la tua esperienza sui trampoli 🙂 che meraviglia!e io potrei vincere la mia proverbiale vertigine per seguirti a grandi e alti passi, giuro!Io dico che le prime zucche come i primi funghi su un buon formaggio sarebbero perfetti per la stagione che arriva!Sapevo che questa ricetta ti sarebbe piaciuta: è una di quelle che danno una gran soddisfazione e che possono portare a rinfrescare il lievito più del dovuto, una volta esaurito l’esubero, vedrai!!!!
Laura! Che bella sorpresa trovare qui la variate rapida di cui abbiamo tanto parlato! Appena ho un momento di tempo più lungo di questo, che la pioggia si è fermata un attimo, il cane scalpita per uscire e poi ho un sacco da lavorare, aggiorno il mio post con la tua versione. E poi chiaramente la provo pure io! Farò felice il mio lui, che ha sempre poca voglia di aspettare quando si tratta di piadina, e testerò l’elasticità per vedere se con questo metodo posso fare a meno della bianca.
E a parte la piadina: leggerti è sempre un vero piacere. Davvero!
Eccola!!!!!Claudia come vedi la tua ricetta è diventata di famiglia come il pomodoro casalino!!:-) Avrai notato che le dosi degli ingredienti sono cambiate ulteriormente 🙂 ma soprattutto io penso che il risultato della tua piadina in vesta di chapati sia più che altro dovuta al fatto che con la stessa quantità di impasto ho ricavato 4 panetti al posto di 3 e questo ovviamente ha reso l’impasto più sottile e ‘bolloso’. Comunque cara mia, mi hai aperto un mondo, che si è capito?:-) Il piacere della lettura è corrisposto cara!;-)
P.S: Io “Chapiadi”, dico la verità, lo stavo leggendo con l’accento sulla i, “Chapìadi”. Come “Olimpìadi”. M’aspettavo una specie di sfida piadinara che però non arrivava mai. Poi finalmente ho capito! Posso suggerire un accento sull’ultima A per i matti come me? 😉
Fantastica!:-)
Il nome chapiadi è troppo simpatico. In questa mattinata uggiosa mi ha strappato un sorriso. Una bella ricetta e, come sempre, un bel racconto…stile di scrittura davvero da togliere il fiato. Bravissima!
Chiara
Ma grazie Chiara!!!:-) è vero questo tempo grigio non da tregua a questo fine settimana settembrino, meno male i pomodori, almeno quelli restano rossi!!!:-)Mi fa piacere ti piaccia venire qui e seguire i miei scioglilingua, per chi mi vive accanto sono sproloqui semiseri, ma io non riesco a farne a meno 🙂 Un bacio!
ed io che credevo che chapiadi fosse il nome alternativo per indicare le olimpiadi dei chapati – ma magari un po’ è così, fra tutti gli “allenamenti” subiti per perfezionare la ricetta e giungere all’oro! E ancora, quei pomodori! Somigliano tanto al “pomodoro riccio” siciliano, adatto soprattutto per fare la conserva perché molto acquoso…che profumi, che ricordi mi porti alla testa. ps: questa cosa del tuo non essere una blogger comune, che avrebbe “corretto” i pomodori (come altri che, nella vita reale, “correggono” la salsa di pomodoro), è la parte che più mi piace di te – poterti ammirare in tutta la tua elegantissima e perfetta semplicità!
Marta bella!Si già Claudia è stata tirata in inganno da questo buffo nome con cui ho ribattezzato la sua piadina 🙂 Riguardo a quei pomodori, hai fatto centro!Il mio caro ‘contadino gentiluomo’ mi ha confidato proprio questa meravigliosa resa dei suoi pomodori in un sugo di conserva!Quanto a me c’è una distanza che mi tiene lontana dall’idea di fare sul serio quando vesto i panni della foodblogger… ecco suona anche strano dirlo: c’è un certo grado di istintività e scelleratezza che non mi permette di essere perfezionista come vorrei, ma me ne farò una ragione sperando di imparare almeno dagli errori, tipo: macchie di terra sui pomodori!;-) Un bacio grande grande a voi!
Io addenterei subito uno dei tre pezzi che si trovano sul taglierino, non direi di no al secondo… :)).
Mi piace questo tuo discorso dei semi tramandati… i semi sono una ricchezza adesso che tutta la verdura arriva da quell’altra parte del mondo e noi andando avanti perdiamo gusti, aromi e genuinità.
Sarebbe triste perdere i semi di quei bellissimi pomodori della prima foto!
Un grande abbraccio,
Ulica 🙂
Ulica cara, si sono sicura che ti piacerebbero tanto come sono sicura che non lasceresti lì da solo il terzo pezzo avanzato sul tagliere… che sennò si offende!;-) Si la storia dei semi andava raccontata soprattutto se l’idea a cui si comincia a tendere è quello dell’auto sussistenza…e io non ti nascondo che ci sto facendo un pensierino molto ‘pericoloso’, quasi quasi una deriva esistenziale, che molto probabilmente porterà mia madre a frequentare uno specialista, ‘molto bravo nel suo campo’, al mio posto. Quanto meno per interrogarlo sulla responsabilità che studi classici abbiano avuto su questa mia inaspettata ed esilarante vita bucolica!:-) Ti abbraccio forte come sempre!:-)
Se ne incontri uno davvero bravo passa il numero che sicurament epuò servire!!! In orto ho provato anch’io a seminare dei pomodori che assomigliano molto ai tuoi (quello che mi ha venduto le piantine me li ha spacciati per pomodori toscani…mi manca solo di credere a Babbo Natale ed ormai credo davvero a tutto!!!), ma non avevo pensato di papparmeli in mezzo ad una piadozza!!!
Bel post e bella idea!!!
Buona giornata
Ciao Mila!!!Ma no dai noi, che ci dobbiamo fare noi con uno specialista 🙂 potrebbe essere utile solo se avesse ricette gastronomiche interessanti, ma per il resto teniamoci pure lontane da lui, finché è possibile! 🙂 Anch’io non ho smesso di credere ‘all’asino che vola’ e Babbo Natale compreso, ma non preoccuparti è un valore aggiunto che pochi possono vantare 🙂 e se hai ancora quegli splenditi pomodori che si dicono toscani, fai subito questo esperimento e vedrai: ti piacerà tantissimo!
Di pomodori ne ho parlato un pomeriggio intero-ieri, ovvero domenica secondo l’orario canadese. Un’allegra signora di origini friulane, che a stento ricorda le parole in italiano, rende omaggio a sua madre e chi prima di lei dall’Italia oltre alla valigia di cartone piena di lacrime, speranza e sapere, coltivando pomodori in un bel villaggio a est di Montreal. La signora con i suoi semi é riuscita a tirar su 150 piante di pomodori. Io capirai, che in questo periodo più di sempre, mi sento non adatta a niente e nessuno, sono rimasta basita, a mo’ stoccafisso. Lei a me chiedeva consigli sull’utilizzo di tutto quel ben di dio, a me, capito? Se tu fossi qua credo che potreste aprire un business niente male di chiapiadi, di sicuro i suoi pomodori farebbero un gran figurone!!!
Margherita bella ma che mi dici: un intero pomeriggio a parlare di pomodori?Ma io vengo subito in Canada se lì i discorsi possono andare avanti così a oltranza!:-) La verità è che da qualche anno a questa parte ho fame di chiacchiere e rapporti genuini e l’idea di dedicare il mio tempo a racconti e ‘forme’ di vita particolari, fosse anche quella di un pomodoro, io mi sento in pace con il mondo!
La signora che ha messo in valigia i suoi semi di famiglia è un’immagine meravigliosa!C’è stato un tempo in cui pensavo che le mie radici fossero perlopiù nei miei libri feticcio… ma oggi anche io se avessi solo una valigia in cui trasportare tutta la mia vita, molto probabilmente la riempirei anche io di semi speciali 🙂 E secondo me la signora ci ha visto benissimo a scegliere te come interlocutrice preferita 🙂 l’avrei fatto anche io!E adesso ti mando un bacio a termine di una giornata che il tuo commento ha reso di colpo soffice e leggera!:-)
I semi antichi sono un patrimonio di inestimabile valore e bisognerebbe confidare nella generosità di chi ne custodisce una parte, per poter tornare ai sapori, quelli veri, quelli autentici, di nemmeno troppi decenni fa…perché OK che sono vecchia, ma non sfioro il secolo.
E’ uno dei miei progetti a breve termine, entrare in possesso di semi meravigliosi, pulsanti di vita, che amabili vecchiette custodiscono nelle loro casette in quei villaggi sperduti della mia amata Romania. Ne ho una lista infinita sai? Fragole, cetrioli piccoli, almeno 3 varietà di pomodoro, aneto, levistico, santoreggia, timo, melanzane, peperone lungo e tanti, tanti altri.
Che se fossero queste le cose per cui sdraiarsi sulla chaise longue, allora mi sa che quello specialista aspetterebbe molto. Che scavare a mani nude la terra, per trovare le radici, per riconoscere pezzi della nostra complessa e meravigliosa identità è quanto di più prezioso possa accaderci lungo il viaggio.
Amo queste foto, adoro quel rosso sfacciato dei pomodori e questa chapiadi, come l’hai amorevolmente battezzata.
Un abbraccio tiepido e profumato d’autunno
Mi piace cara Rebecka il tuo abbraccio pieno di autunno 🙂 e anche se non ci conosciamo l’immagine di te con una lista delle cose da non smarrire, semi e spezie varie, non solo è bella ma ti somiglia per come sei nel mio immaginario.
Anche io ti abbraccio forte forte e ti auguro di trovare tutte le varietà di semi che cerchi per ritrovare i tuoi sapori preferiti!:-)