C’era un gradino a Casoli, proprio al centro del Corso principale.
A sinistra, la Chiesa di Santa Reparata e a destra, il bar di Peppe Ciccione.
Il ‘sacro’ da una parte, il ‘profano’ dall’altra e io avrei potuto scegliere da che parte andare, se non fosse che nel bel mezzo, proprio al centro del corso principale, c’era un gradino su cui sedersi. E lì sono rimasta tutta l’adolescenza.
Mio padre me lo diceva che non si può passare il tempo seduti sui gradini delle case degli altri, che non è buona educazione, ma io invece di andare a destra e a manca e ciondolare nell’andirivieni di paese, sono rimasta ferma, gran parte del tempo, a guardare piuttosto dove andassero gli altri.
Attorno non c’era ambiente, ma da lì almeno era possibile capire dove volevo andare io.
Pure mio nonno Osvaldo me lo diceva che non si può passare il tempo seduti sui gradini delle case degli altri: “…che è tempo sprecato, che se proprio si vuole sapere dove andare, tanto vale allora recarsi alla stazione dei treni e scegliere una città direttamente sul cartellone”.
Mio nonno era fissato con le stazioni dei treni. E soprattutto era fissato con la stazione di Pescara “…ché con tutte quelle pareti a specchio era l’avanguardia di tutte le stazioni di Italia’’ – diceva.
“Una gita in stazione si deve fare prima o poi – diceva a mia madre – sennò queste due creature come imparano a prendere i treni?”
Mio nonno c’aveva paura che io e mio fratello imparassimo a vivere seduti sui gradini delle case della gente, ché non si impara a vivere stando fermi.
E un po’ c’aveva ragione: infatti io e mio fratello non abbiamo mai imparato a prendere un treno, ché per andare alla stazione di Casoli dovevi comunque prendere un autobus e, allora, tanto valeva imparare a prendere l’autobus e continuare il viaggio da lì, tutto d’un fiato e restando seduti.
A Casoli, però, l’autobus non si chiamava ‘autobus’, ma ‘corriera’. E quella per andare a Pescara si chiamava ‘Sangritana’, puntuale tutte le mattine alle otto davanti al bar di Peppe Ciccione. Io cercavo un posto davanti per evitare il fastidio delle curve e dopo ben due ore di viaggio arrivavo felice e con lo stomaco in subbuglio da mio nonno.
“Meglio la corriera che niente…” – ragionavamo fra noi e noi. “Ma certo meglio della corriera c’è sempre l’autobus di linea di una grande città” – diceva mio nonno fra sé e me – “Ché sull’autobus di linea si può anche restare in piedi e nessuno soffre il mal d’auto”.
Ma io questo l’ho scoperto tardi quando una corriera di nome Di Fonzo mi ha lasciata a Roma e anche mio marito ha cominciato a dirmi che meglio di una corriera, e addirittura della metro A e B messe insieme, c’è sempre l’autobus di linea per conoscere bene la città e collegare le strade e i quartieri e pure le persone.
E ho scoperto addirittura che a Roma di stazioni dei treni ce n’è più di una e che coi vetri a specchio come quella di Pescara, “quando era l’ avanguardia tutte delle stazioni d’Italia”, ce ne sono niente di meno che in numero di due.
Delle volte allora mi capita di fare una gita in stazione per imparare a guardare i cartelloni e riconoscere il mio treno, ma tanto è inutile che il collegamento migliore con il mio Abruzzo è sempre una ‘corriera’… e, anzi, oggi più di ieri, so che meglio della corriera c’è addirittura la cucina!
In realtà anche questo l’ho scoperto tardi, quando una corriera di nome Di Fonzo stava per portarmi a Roma e mio nonno ha fatto appena in tempo a dirmi che meglio di una corriera e di tutti gli autobus di linea di una grande città c’è sempre la cucina: “Ché, a dispetto delle distanze e del tempo, ti riporta sempre a destinazione meglio di un treno veloce!”
Con i fiadoni salati, allora, torno in Abruzzo per Pasqua, ché è questo il momento di prepararli e mangiarne in famiglia. Vivendo a Roma, organizzo da tempo questo ‘viaggio di andata e ritorno’ senza corriere speciali, ma con gli ingredienti giusti.
Così quando l’altro giorno mi sono spinta fino al Carrefour di Via XXI Aprile, per fare la spesa e incontri interessanti come spesso succede, ho addirittura trovato accanto al reparto dei formaggi francesi, il rigatino abruzzese che non mi capitava di assaggiare da un bel po’ e perfetto per una versione più vicina possibile ai miei sapori.
Si tratta di rustici da forno molto buoni da condividere in famiglia ma anche in solitaria: magari su un gradino di fortuna, quello di casa propria o della casa di un altro che neanche si conosce. Ottimi per fermarsi ogni tanto, almeno a Pasqua, tra un autobus di linea e l’altro o per “tornare a destinazione meglio di un treno veloce”.
Ricetta dei fiadoni salati abruzzesi:
Ingredienti (dose per 50 fiadoni di taglia medio-piccola):
- 500 gr di farina 00 (io quella di farro);
- 100 gr di olio evo; 100 gr di vino bianco secco;
- 2 uova + 1 tuorlo per spennellare;
- 1 pizzico di sale.
Ingredienti per il ripieno:
- 400 gr di formaggio rigatino abruzzese, (altrimenti formaggi vari: 100 gr di parmigiano; 150 gr pecorino dolce; 150 gr caciotta tipo marzolino);
- 50 gr di ricotta di mucca;
- 5 uova; 1 pizzico di sale;
- 1 pizzico di noce moscata;
- salamino aquilano tagliato a cubetti piccolissimi, una manciata;
- pepe qb.
Procedimento. Per la pasta:
- In una ciotola capiente impastare la farina, il sale, l’olio e le uova.
- Quando l’impasto sarà compatto trasferire su una spianatoia per lavorarlo fino a che non risulterà liscio e omogeneo.
- Lasciar riposare fuori del frigo giusto il tempo che occorrerà per preparare il ripieno.
- Stendere l’impasto a meno o con uno stendi pasta (io quello elettrico della kitchenAid arrivando ad assottigliarlo fino al punto 3).
Per il ripieno:
- In una ciotola capace, amalgamare tutti gli ingredienti avendo cura di aggiungere le uova precedentemente sbattute.
- A questo punto su una spianatoia ben infarinata stendere l’impasto in una sfoglia sottile ed esattamente secondo il procedimento dei ravioli fatti in casa, distribuire piccole dosi di impasto della grandezza di un cucchiaino.
- Ricoprire, sigillare ai lati con le dita facendo attenzione a eliminare l’aria intrappolata nella cupoletta del raviolo e con una rotella taglia pasta procedere nella caratteristica forma a semicerchio.
- E’ possibile all’occorrenza impastare gli scarti di pasta una seconda volta e procedere nuovamente. Una volta terminata questa operazione spennellare con un tuorlo e con un paio di forbici fare una piccola incisione al centro. Infornare a 180° C per 20’ circa. Conservare in una scatola di latta.
Ciao Laura! 🙂
come mi piace leggere questi tuoi pensieri! 🙂
Poi i fiadoni che non ho mai mangiato, che belli! Mi aspettavo di trovare un ripieno dolce, invece no.
Ti auguro una serena festa di Pasqua e ti abbraccio tanto!
Ulica 🙂
Ulica cara e si con le feste il mio Abruzzo mi strattona e mi porta in cucina con ricette doverose… è l’unico modo che ho per sentire i racconti e la voce di mio nonno 😀 Spero tu abbia passato bene questi giorni di festa e ti abbraccio tanto anche io!
Arrivo al volo perchè ci tenevo a farti gli auguri…..ricetta stupenda, che starebbe benissimo sulla mia tavola oggi!!! Ci sentiamo presto Laura…a voce e tornerò con calma per leggerti con tanta voglia!!!
Guarda Gabila sono certa anzi certissima, in nome della nostra comune passione per i formaggi, che questa ricetta ti piacerà tantissimo!Ci sentiremo presto presto, intento ti abbraccio!:-)
Ma quanto mi piace leggerti.
E anche rubarti le ricette, come ben sai 🙂
Ma che il rigatino fosse un formaggio, questo proprio non lo sapevo! Da noi li rigatino è la pancetta!
Ti abbraccio cara Laura, in attesa di rivederti.
Alice Alice!Nell’attesa di riabbracciarti ti dico che il nostro rigatino è un formaggio a pasta morbida e latte misto, la forma rigata dei cestini in cui si conserva lo rende riconoscibile e gli da questo nome. Sono felice che ti piacciano queste ricette perché in qualche in qualche modo è come se ti piacesse anche la mia terra, di cui forse dovrei raccontare di più. Ti abbraccio forte forte!
Ecco, io invece non ho mai neanche imparato a prendere un autobus, che mi sono sempre detta che tanto, nella città in cui vivo, imparare a prenderne uno non ha poi così tanto senso, considerando che tra l’aspettarlo e il traffico, faccio prima io con le mie gambe per niente atletiche. Così, ogni volta che devo percorrere distanze per me inimmaginabili e qualcuno mi suggerisce di prendere un bus, io faccio spallucce e invento qualche scusa, che poi sembro la solita svampita che non capisce neanche come funzioni un autobus. La cosa ancora più esilarante, però, è che maschero la mia pigrizia del non voler prendere la patente affermando che, tanto, io conto di trasferirmi in una città dove i mezzi funzionano. Ma se in realtà non so usare neanche quelli, forse allora mi capiterà di prendere un treno per sbaglio, sbagliare destinazione (o, magari, no) e ritrovarmi a suonare al tuo campanello, certa che allora potremo lamentarci degli autobus, delle corriere e dare la colpa a loro anche quando non è così 🙂
Ti abbraccio forte! Marta
Marta bella ti rispondo con un po’ di ritardo, che però in questi casi aiuta a fare considerazioni che nell’immediato non si sarebbero fatte: ad esempio mentre io ti scrivo tu sei già salita per la seconda volta su un treno diretto a Milano e già tornata a Palermo e nel frattempo io ho imparato a ad aggiungere alla lunga lista di mezzi con i quali mi sposto faticosamente in città, anche un treno regionale!Insomma stiamo facendo passi da gigante!Ad ogni modo quando verrete a trovarci alla scoperta della città cammineremo, niente mezzi per noi!
Vi abbraccio più forte del solito!
A proposito di andate e di ritorni….senza troppe corriere o autobus di mezzo, quand’è che ti riaffacci da queste parti che ho proprio bisogno d’un bel post dei tuoi da leggere tutto d’un fiato per poi “andare via” e avere la sensazione per qualche minuto di potere anche non “tornare”??
Presente!!!Spero di aver azzeccato i tempi ma attenta a quella sensazione lì del non poter tornare… è pericolosissima da gestire!;-)