“Non avrei mai creso che la mia sputazza cogliesse sulla piattaforma del vostro mogadiscio.”
Lui era Stefano “Lu ciavàje”, un vetturino che sostava davanti la stazione. Era balbuziente e mangiava i gatti.
Ed era vero, perché quando la sera passava davanti al Pastificio Spiga con un sacco sulla spalla, c’era qualcosa dentro a quel sacco e che si muoveva pure.
Non erano conigli, perché i conigli si comprano, mentre i gatti si trovano. Ma era il dopoguerra, mio padre aveva cinque anni e ognuno mangiava quello che poteva: lui ad esempio, mio padre, mangiava la ‘favetta’ che era cibo per maiali e, comunemente, ‘ghiande’.
Così ad ogni boccone mia nonna lo supplicava di mandare giù un cucchiaio per lei, uno per mio nonno, uno per mia zia e anche la favetta finiva presto perché pure quella non si poteva sprecare troppo, sennò i maiali che mangiano?
E comunque nella mia famiglia Stefano “Lu ciavàje” non si ricorda per la sua balbuzie né per la sua ‘alimentazione’, ma per un lessico ‘ricercato’ e chi sa dove. Ne diede prova il giorno in cui in Via Leonardo Da Vinci rivolse le sue scuse a Don Celestino, il padrone del Pastificio, con immaginifica orazione semplicemente per dire: “Mi scusi non avrei mai creduto che la mia saliva colpisse la sommità del vostro mocassino”.
Ecco, Stefano “Lu Ciavaje” lo disse meglio di come la lingua italiana lo direbbe, ed è per questo che noi lo ricordiamo ancora. Perché le frasi celebri sono di chiunque, anche dei disgraziati che le hanno pronunciate con convinzione malgrado una certa ignoranza di base.
Il passato che ci attende
Così l’estate non poteva cominciare meglio: i miei sono arrivati quindici giorni fa con il desiderio di recuperare un po’ di di baci e abbracci e rimestare, come è d’abitudine in famiglia, un po’ di storie del passato.
In realtà quando pensiamo al futuro chiedo sempre a mio padre se mai verrà con me in Grecia:
“Perché è il passato che ti manca!” – gli dico io per convincerlo del fatto che è così e che ouzo e pistacchi aspettano anche lui sotto un pergola di vite, vista mare.
Così questa volta per essere più convincente di tutte le altre e portarlo dalla mia parte, ho cucinato greco ogni santo giorno.
La verità è che non sono una padrona di casa premurosa: e infatti non chiedo mai ai miei ospiti se mangiano cipolla e aglio. Mi piace di più chiedere: “mangi greco?” Se la risposta è si, cipolla e aglio non possono essere un problema!
Veramente mio padre non ha mai mangiato greco, ma la ‘favetta’ gli ha insegnato ad apprezzare tutto: aglio, cipolla e anche ciò che non conosce, ad esempio i dolmades.
I dolmades sono opertika e cioè antipasti: involtini di vite con riso speziato al finocchietto e una spremuta di limone.
Ho imparato a prepararli nella taverna di odiseaschalikias seguendo passo passo i consigli di Dionisìa, la donna dal nome più bello che c’è.
Quando decido di prepararli la sera prima mi arrampico sul muretto dietro casa per arrivare all’altezza delle foglie vite più belle, che sono sempre le più alte. Poi strappo qua e là il finocchietto selvatico che cresce dall’altra parte del giardino e il resto è destinato diventare una ‘ricetta e vicenda’ sicuramente, ma con tempi biblici di pubblicazione sul blog, perché anche il mio tempo è greco (sigá sigá).
E in effetti se ripenso ora, ai giorni trascorsi in famiglia anche io non avrei mai creso che un mio post cogliesse la ‘piattaforma’ delle mie ricette e vicende preferite.
Aggiornamenti dalla cucina
Di quello che ultimamente vive dentro il frigo provo una grande invidia, per le fresche temperature, ma anche una infinita soddisfazione per le imprese domestiche che mi riguardano.
Mi riferisco soprattutto allo yogurt greco che ormai produciamo in grandi quantità e gustiamo nella convinzione sia più buono di quello comprato e più greco di quello di tutta la Grecia che abbiamo conosciuto.
Quando ho regalato un po’ del mio lievito a Silvia, mia cognata, anche lei ha pensato di dovermi regalare qualcosa: “Una nuova avventura, un nuovo fermento…” mi ha detto versando un po’ di latte in un barattolo già ‘abitato’ da altre forme di vita.
Non che lo yogurt ‘lento’ e filtrato dai suoi fermenti mi piaccia particolarmente, ma con un po’ di studio e l’attrezzatura giusta nel giro di poco tempo ho capito come portarlo alla consistenza desiderata e infatti ora sono felice.
Veramente nel frigo oltre a nuove colonie batteriche di cui sopra, ci sarebbero anche tanti altri barattoli di conserva che ultimamente insaporiscono la mia quotidianità. Quando ho preparato i dolmades ho avuto bisogno di yogurt ma anche del kritamos in salamoia.
Kritamos
Si tratta di finocchio marino, con il particolare sapore di cappero: si tratta di germogli che arricchiscono soprattutto le salse a partire da quella più comune a base di yogurt.
Questo per dire che, nel caso dei dolmades, solo il riso non è autoprodotto che è una grave mancanza quando ci si arriva a prendere così sul serio.
Per la storia e la ricetta del kritamos invito chi fosse interessato a leggere il dettagliato ed esaustivo post di Erica
e a scoprire tutte le possibili soluzioni di conservazione.
Ricetta dei Dolmades di Dionisìa
Ingredienti:
- 200 gr di riso (chicco piccolo)
- 1 cipolla di media grandezza tritata al coltello
- 60 gr olio evo + 30 gr
- 20- 25 foglie di vite di grande dimensione
- 3 cucchiai di aneto fresco tritato
- 1 cucchiaio di menta fresca tritata
- 1 limone spremuto
Per servire:
- 250 gr di yogurt greco
- 1 cucchiaio di olio evo
- 1 cucchiaio di limone
- Sale e pepe qb
- Menta fresca qb
- Germogli di kritamos in salamoia
Procedimento:
- Sbollentare le foglie di vite e bloccare subito dopo la cottura in acqua fredda. Lasciar asciugare su un panno pulito, nel frattempo eliminare il ‘gambo’.
- Tritare finemente cipolle e soffriggerle con 60 gr di olio evo.
- Quindi aggiungere il riso, il sale, l’aneto e la menta tritati e un bicchiere d’acqua. Durante la cottura se il riso dovesse presentarsi troppo crudo aggiungere un altro mezzo bicchiere d’acqua ma senza stracuocere il riso.
- Mettere su ogni foglia un cucchiaino del ripieno e avvolgerlo ripiegando prima le estremità laterali della foglia e poi arrotolando il l’involtino da un capo all’altro.
- Disporre su una padella antiaderente tutti gli involtini a file o circolarmente.
- Aggiungere 30 gr di olio, il succo di un limone, 1 bicchiere d’acqua.
- Coprire con un piatto pesante poggiato sui dolmades perché non si aprano in cottura.
- Lasciar cuocere a fuoco lento finché l’acqua non sarà evaporata.
- Servire freddi guarniti con fette di limone, oppure caldi con una salsa allo yogurt.
grazie. è tutto bellissimo.
Maria Teresa, mi riempi di felicità!Grazie a te!
”En avrìa mai cres’ ia!” diceva la Nunzia con una cadenza lentissima e strascinando la ”a” finale, tanto che ancora oggi mi ritrovo ad imitarla quando scherzo con mia mamma…
Ma veramente, io non avrei mai creso di dirti oggi che, pure nel mio frigo stazionano colonie batteriche simili alle tue, perché pure qui è iniziata una seconda avventura coloniale…. e nello specifico lo yogurt! Si, Laurè, proprio lo yogurt… Io come al solito mi ci avvicino alla mia maniera, ovvero un po’ scafata, cerco nella mia memoria come lo faceva una signora che conosco e che frequentavo un po’ di tempo fa e provo … mi documento, cerco delle dritte da una mia amica che si è data all’autoproduzione a palla (non quella che mi ha gentilmente donato Greg, un’altra che fa l’insegnante di lingue e vive a La Spezia) e mi butto, sicuramente molto più decisa e spiritualmente meno impaurita rispetto a Greg… Parto da latte fresco intero e da yogurt (si, lo so che si prendono i fermentini, ma io sono sempre io.. pasticciona e un po’ San Fasò, e ho voluto provare così), li unisco assieme e li metto a dormire caldamente avvolti nella copertina dentro il forno con la lucina accesa; dopo circa 8 ore, passo al frigo ed aspetto che si compia la magia…. Devo ammetterlo, avevo un po’ troppe aspettative (perchè avevo visto le fotine di quello della mia amica e speravo venisse così), e quando ho scoperto che il mio era una sorta di cremina, mi sono un po’ demoralizzata… buono era buono, ma era cremosino, non bello sodo e compatto… Allora ho pensato a cosa potessi aver sbagliato.. magari poco yogurt?, ma Sarah mi aveva detto un vasetto ed io quello ho messo, magari ho usato barattoli troppo grandi?, ma dalle foto anche i suoi erano simili ai miei, sta di fatto che le scrivo e scopro che… lei ha usato come starter lo yogurt greco (che sappiamo com è di consistenza e poi il vasetto è più grande rispetto a quello dello yogurt ”normale”) e che i barattoli erano come quelli delle marmelle (mentre io avevo usato quelli grandi da miele)… Ok! vedo come posso rimediare…. Deciso! Lo colo! prendo un setaccio e della garza (si, lo so che ci andrebbe un bellissimo telo di lino, ma non lo avevo al momento) e verso la mia cremina lì ed aspetto…. più di mezza giornata è durata la colatura, ma il risultato è stato meraviglioso! ”En avria mai cres ia”! davvero! la consistenza è proprio quella dello yogurt intero adesso, più compatto, non come quello greco, ma molto molto molto meglio di prima…. Brava Manù! mi son detta dandomi una bella pacca sulla spalla… Le prossime volte proverò con il greco come starter, oppure se riprovo con lo yogurt normale ne metto di più, magari due vasetti.
Ecco, mi son persa…
Ah! tuo papà…. <3 sentire quell'accento Laurè mi ha fatto passare dei brividi bellissimi perché mi è sembrato di sentire mio nonno, quando parlava in dialetto e mi traduceva perché non capivo…. Grazie <3
Ah! tu e le arrampicate, che le cose più belle sono sempre quelle più in alto, dalle mele, alle more, alle foglie di vite…. e quando mi ci ritrovo sotto, mentre cerco un modo per arrivarci, tutte le volte mi dico : ''5 centimetri, mannaggia a quei 5 centimetri!", però alla fine ci arrivo lo stesso! 😉
Ah! il frigo… quanto vorrei anch'io abitare il tuo frigo!
Ah! il greco… io non l'ho mai mangiato, ma so provare tutto, quindi un giretto da te me lo farei volentieri….
Ah! aspetto con trepidazione il tuo meraviglioso prodotto da lievitazione fatto col siero…. <3
Lo aspetto si, ma anche il mio tempo è greco, quindi… 😉
Un abbraccio forte!
Manù.
Manù parto da quei 5 cm in più che sono stati il mio più grande rimpianto: oggi per raggiungere meglio le altezze proibite, ieri perchè mia nonna mi illudeva del fatto che avrei potuto fare addirittura l’attrice con quei 5 centimetri in più… ma insomma mia nonna lo diceva a tutti e anche a mio padre, prima di me, lo diceva.
Ma l’altro giorno a proposito di distanze e di obiettivi da raggiungere, proprio mio padre mi ha detto una cosa interessantissima: non è mai la distanza a impedirci di colpire e/o raggiungere l’obiettivo ma la grandezza del obiettivo stesso. Un obiettivo piccolissimo da mettere a fuoco sarà una complicazione anche a brevi distanze, anche a soli 5cm di distanza… insomma Manù mi ha fatto capire che le distanze sono proprio relative, dobbiamo solo concentrarci meglio sulla grandezza del bersaglio.
E ora ti dirò a proposito di yogurt, che mi ha procurato un iniziale impazzimento, che mi ha portato addirittura a ‘uccidere’ per distrazione il lievito madre: perchè diciamolo due obiettivi in contemporanea possono fare questo effetto.
Il giorno del mio compleanno sono corsa ai ripari creando subito un nuovo lievito in modo da poter festeggiare il suo compleanno insieme al mio da qui ai prossimi che verranno.
Alla fine la nostra lingua comune si sta rivelando più vicina dei rispettivi confini regionali, non avrei mai creso!;-)
Un abbraccio forte Manù e mi raccomando a Greg!;-)
Sei fantastica in tutto quello che fai; racconti delle vicende e io rimango affascinata perfino dell’omicidio del lievito madre il giorno del tuo compleanno. Cosa avrai mai combinato tra yogurt e lievito? Hai sbagliato barattolo ?scusa se rido ma immagino il tuo frigo e quanta vita c’è; sarà un traffico canalizzato di batteri che va e che vengono ☺️☺️☺️
Grazie per tanta bellezza mista a semplicità e a ricchezza di sentimenti. La storia de Lu ciavaje è troppo bella. Sai che dal tuo scritto riesco ad immaginare come in un film la scena dello sputacchio? E il tuo papà lo hai convinto con i manicaretti della cucina greca a venire in Grecia con te? Grazie Laura grazie infinite
Elvira tu già sai quali e quante disavventure proprio in quel giorno ed è stato per questo che, proprio in quel giorno dopo aver ucciso il mio secolare lievito, per esorcizzare una serie di eventi non proprio di buon auspicio ne ho creato un altro che si è rivelato un portento o, forse, un premio alla lucidità e volontà di non abbattermi troppo.
Sono felice ti arrivi tutto quello che io racconto, suoni immagini e sentimenti.
Si quella scena la riesco a immaginare anche io, anche se il pastificio l’ho visto solo in foto purtroppo. I racconti che ne conservo me lo fanno immaginare però come un luogo vissuto anche da me.
Mio padre non verrà mai con me in Grecia, anche se quando me lo promette è assolutamente convinto di farlo. I manicaretti però li ha amati tutti e infatti è per quello che sente di conoscere già la Grecia e di esserci stato già, un po’ come io sento di essere già stata con lui nel pastificio di Don Celestino. Grazie a te Elvira, il piacere del racconto me lo danno le tue orecchie e quelle di chi passa di qua!:-D
Passo sempre dalle tue parti con tanto ma tanto piacere. Tu non smettere mai di deliziarmi con le tue meravigliose ricette&vicende. A presto
Ciao Lauretta! dopo che ci siamo viste in campagna da Chicca in luglio e che mi hai detto del “nuovo” blog di cui avevo perso traccia, oggi, approfittando della pausa pranzo in solitaria, mi è venuta l’idea di andare a vedere il tuo nuovo lavoro (o capolavoro direi).
Che dire…, questi racconti sono dei romanzi, le immagini che riporti sono più che delle foto delle vere e proprie opere d’arte che trasmettono emozioni! Potevo aspettarmelo da una ragazzina che nella sua stanzetta di Casoli ci raccontava di “banali” vicende di vita quotidiana tra adolescenti come se fossero le vicende di Jane di Orgoglio e pregiudizio, però è veramente incredibile pensare che la nostra Lauretta sia dietro queste pagine e questo lavoro così ambizioso…c’è servita la voce di tuo padre per convincervi 😉 Questa volta direi proprio che non hai fatto un lavoro alla San Fasò!! Orgogliosa di te e di come la tua capacità indiscussa nel raccontare storie di vita quotidiana, abbia potuto maturare e diventare QUESTO!
Sabrina bella, tu non puoi neanche immaginare l’euforia di ieri sera quando nella posta ho trovato te e le tue belle parole. Il giudizio delle persone che mi conoscono è importante perché in un certo senso sottolinea l’evoluzione di quello che ero prima e quello che, seppure inconsapevolmente, sono diventata oggi. E nel tuo commento quello che ho ritrovato è essenzialmente questo: passato e presente che in qualche misura non si distanziano troppo, ma anzi addirittura si equivalgono, l’uno diretta conseguenza dell’altro. Mi piace che certe conferme arrivino da chi mi ha conosciuta veramente, da chi è legato a me da uno dei periodi più belli della mia vita. E soprattutto da chi a cui mi sento profondamente legata dal ricordo di una bella amicizia e dalla stima che ancora oggi mi lega alla persona bella che sei. Ti ringrazio, sono felice che questa evoluzione dei miei racconti ti piaccia e che soprattutto tu possa riconoscerla!Spero di riuscire a farti compagnia in tutti i tuoi prossimi pranzi in solitaria, perché soprattutto in questo spazio mangiare è una delle azioni si preferiscono dopo quella del raccontare!Ti abbraccio forte e spero di riabbracciarti presto!