Un’estate a pedali

Abruzzo a pedali

Le tre domande di mia madre in successione sono sempre state così: due ordinarie e una straordinaria.

Come la mattina in cui mi sono svegliata in Abruzzo: ho preso la bici e sono arrivata al mare felice di tutta la strada percorsa. Ma a un certo punto squilla il telefono. Mia Madre:

“Dove sei?” – (prima domanda) 

“Che tempo fa?” (la seconda…)

“Lo sai che sei uscita con la maglia di un pigiama?” 

(… ed eccola qua, la terza domanda).

No, in effetti lo ignoravo si trattasse di un pigiama, anche se con quella maglia lì ero andata a letto e avevo dormito, ma avevo anche fatto colazione il giorno seguente fino ad uscire di casa, correre in bici e arrivare finalmente al ‘mio’ mare. 

“E’ se l’estate continuasse così?”

“In pigiama?” – mi ha risposto mio marito. 

Un’ estate a pedali

E se l’estate diventasse di colpo essenziale? – ho pensato. Come quando si è piccoli e si trascorre un tempo continuativo sempre nello stesso tempo, con l’essenziale addosso e intorno: ovunque sia ‘dove’, tanto sia ‘quanto’.

Così è cominciata la pianificazione di un’estate essenziale come un pigiama con cui si dorme di notte e si esce di giorno.

Un’ estate ‘a pedali’ per allontanarsi e poi ritornare indietro esattamente al punto di partenza, ma con il dovuto vento tra i pensieri e nuovo ossigeno nei polmoni.

Possibilmente un’estate in Abruzzo: per pedalare avanti e indietro sulla nuova ciclabile, che era la vecchia ferrovia, e per rivedere luoghi e persone con cui tornare a vivere per un po’ e senza limiti di tempo.

Un'estate a pedali

Un'estate a pedali

trabocchi

Un'estate a pedali

un estate a pedali

estate a pedali

Così ho chiamato Mario. 

Dopo un po’ di giorni di mare e trabocchi da Ortona fino a Vasto, la montagna mi ha riacciuffato come Casoli mi riacciuffava sul suo cocuzzolo dopo un’estate piena di sole.

“Mo’ che torni a Casoli che fai?” – mi chiedeva mio nonno Osvaldo. In tre mesi di mare a casa sua conosceva bene tutti i miei entusiasmi per l’andirivieni giornaliero tra casa e mare e viceversa. E non si dava pace a vedermi tornare nella calura isolata dell’entroterra.   

E così me lo chiedevo anch’io: “Mo’ che torno a Casoli che faccio?”

In realtà quello che avrei trovato al mio rientro, sarebbe stata la solita normalità del paese, un’abitudine impassibile a conservare la vita delle persone così com’è, così come è sempre stata: imbalsamata. 

Quello che poteva succedere è che qualcuno avrebbe potuto dirmi: “Mi sembri una negra” – un po’ per dispetto, un po’ per dialetto.  Quella sarebbe stata l’unica soddisfazione del cambiamento che portavo addosso e l’estate finiva così. 

Ma questa volta ho chiamato Mario. 

Mario è il nome dell’amicizia inconcepibile con un maschio. 

In un paese in cui a due esseri diversi, come un maschio e una femmina, non è consentita amicizia senza la malizia del dubbio.

In realtà il tempo, città nuove e vite separate non hanno impedito che rimanessimo esattamente ciò che eravamo: due amici che alla prima occasione si sentono e se possono s’incontrano pure. 

E se i luoghi di origine nel frattempo sono troppo cambiati per ritrovarci, io e Mario non perdiamo l’abitudine di misurare il tempo che ci ha separati dagli anni di liceo, chiedendo l’uno all’altro che fine ha fatto tizio? Che fine ha fatto caio? 

Una curiosità inspiegabile per i nostri consorti di città che ascoltano divertiti la geolocalizzazione di persone che per noi un tempo erano qualcuno e ora sono altro. 

Un gioco a non finire che ci riconsegna a quello che eravamo, senza troppi smottamenti rispetto a ciò che anche noi siamo diventati. 

Così al telefono Mario ha detto a mio marito: 

“Non c’è bisogno di indicazioni, Laura la strada la sa”

un'estate a colori

E la strada è esattamente la stessa in cui un giorno un venditore di gasolio si fermò. 

L’estate era torrida e il muretto di una casa piena di glicini e alberi da frutta diventò il fresco riparo all’ombra, prima di ripartire per Pescara. 

Era la casa di un tale ‘caporale’.

Dialogo di un venditore di gasolio e un tale ‘caporale’

casoli

casoli

casoli

I due sedettero insieme sul muretto guardando di fronte l’infinita distesa orizzontale di terreni. Ad un certo punto il venditore di gasolio disse al caporale: “Ma chi vive qua, che fa?”

E il caporale: “Chi vive qua, ci è nato e ci muore pure. Ecco cosa fa. Vedi questi terreni? Erano di mio padre e domani saranno delle mie figlie: niente di più niente di meno.”

Il venditore di gasolio: “Anche io ho delle figlie e se un domani una delle due, sposandosi, finisse proprio qua, io passerei tutto il resto dei mie giorni a piangere. Perché chi vive qua, cosa fa?” 

Anni dopo una giovane coppia interessata all’acquisto di un terreno fuori paese bussò alla porta del caporale e quello, più anziano e meno ottimista, accettò la proposta di vendere la sua proprietà solo perché si trattava di due forestieri: “Che alla gente del paese la soddisfazione di comprare la mia terra non gliela do” – aggiunse.

Loro erano i miei genitori, mia madre era la figlia del venditore di gasolio e lui, Osvaldo, mio nonno.

Così dopo un’estate di sole passata a casa sua, non si capacitava ancora per quella vita sperduta nell’entroterra e allora mi chiedeva: “Mo’ che torni a Casoli che fai?”

Scanno

scanno

arrosticini

Quando Mario ci ha accolto in casa sua la tavola era già imbandita, l’agnello già sulla brace e le chiacchiere ‘alla vecchia maniera’ erano pronte come era pronto il pranzo.

Però non sono passata per Casoli e, anche se la strada la conoscevo bene, non sono passata sotto la casa che è nata sui terreni del Caporale, né ho rivisto la vita che doveva essere delle sue figlie e dei suoi nipoti e che invece è toccata a me. 

La verità piuttosto è che non avevo mai visto Taranta Peligna, né conoscevo la frescura delle sue ‘Acque vive’. Un’attrezzata area di sosta sotto l’ombra di pioppi secolari ci ha permesso di passare la notte al fresco, prima di riprendere il nostro viaggio per Scanno. 

Quello che volevo vedere di Scanno era esattamente ciò che volevo fotografare: un agglomerato di case in successione una sotto l’altra a lato di due scalinate che salgono verso il centro storico. 

scanno

Volevo rivedere Gregorio e riassaggiare come l’ultima volta a Sulmona i suoi formaggi. 

Parlare un po’ con lui, che in Abruzzo è una nota istituzione, era quello che speravo anche per ritrovare nei suoi tratti famigliari e nella sua inflessione dialettale proprio il calco perfetto di quel venditore di gasolio che era mio nonno.

E infatti dopo aver chiacchierato tanto con Gregorio, anche lui ad un certo punto ci ha chiesto :

“Mo’ che avete visto Scanno, che fate?”

E per una strana associazione di idee e situazioni comuni in cui ho creduto di intendere un messaggio inequivocabile, ho capito che dovevo tornare di corsa al mare, ché se l’estate non è finita non c’è bisogno di rintanarsi prima del previsto in montagna.  

Punta Aderci

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punta Aderci

Punta Aderci

Che ci fosse una riserva naturale sulla costa abruzzese, come in montagna c’è un più noto ‘parco nazionale’, io non lo sapevo. 

Sulla costa dei trabocchi, che ormai è diventata addirittura una ciclabile ho pedalato senza sosta tra Ortona e Vasto, fino a che la strada non si è interrotta sul suggestivo belvedere di Punta Aderci. 

Veramente tutti i nomi dei trabocchi si anticipano con il sostantivo ‘punta’, come Punta isolata, Punta Cavaluccio, Punta Spezzacatena, Punta Palombo e di punta in punta fino a Punta Aderci. 

Il trabocco di Punta Aderci è romantico per una serie di motivi a se stanti: quello di appartenere ad una delle aree più incontaminate della costa e soprattutto per il suo ‘divorzio’ forzato dalla terra ferma. Parte della passerella che avrebbe dovuto collegarlo al punto più in basso della scogliera ha ceduto alla forza del mare, in cambio di una vita più appartata. 

In questa distanza è sicuramente la ragione della forza d’attrazione che sprigiona rispetto a tutti gli altri trabocchi.

Ne ho sperimentato la visuale cambiando ogni volta l’obiettivo della reflex, ma non è stato sufficiente a catturare l’idea della sua umile resistenza al mare aperto.

Punta Aderci

Punta Aderci

Strada facendo siamo entrati in un’area di sosta per trascorrere un po’ di giorni dentro la riserva, chi ha pensato di chiamarla ‘oasi’ di Punta Aderci ha usato l’unica parola possibile. 

Qui gli ospiti dormono sotto l’ombra dei pioppi e quando arriva il momento di scendere al mare, un trattore si muove meglio di una navetta addetta al trasporto umano, in mezzo a campi di vite di Pecorino e Montepulciano D’Abruzzo. 

Ho scattato una foto a questi singolari bagnanti il giorno in cui risalivo in bici dal mare: loro hanno incoraggiato i miei sforzi in salita nascosti sotto un capello floscio sugli occhi e io li ho immortalati in quella novità tutta agricola del loro andirivieni.

oasi di punta Aderci

oasi di punta Aderci

un'estate a pedali

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La verità è che anche noi siamo stati bagnanti, ma mai sul trattore e quasi sempre su due ruote rinforzate per i pezzi di sterrato. Siamo entrati nell’uso comune di questa parte di spiaggia di costruire capanne per l’ombra con radici levigate dal mare e restituite a riva. 

In un contesto del genere ho fatto il computo della mia essenzialità più spicciola per capire se potevo sentirmi soddisfatta: una bici, una reflex e un capello. Ho dismesso il pigiama che ho sostituito ad un costume perenne e a un certo punto ho aggiunto un libro e una matita. 

Per leggere un libro ci vuole una matita

“Per leggere un libro, ci vuole una matita” -diceva il caro Prof.re Fiorentino. 

Perché senza una matita come si fa a rientrare in un libro, abitarlo nuovamente ritrovando esattamente la stessa strada che si è percorsa la prima volta?

E in effetti leggere senza una matita, sarebbe come andare a trovare Mario e non ricordare più chi era tizio e chi era caio. O peggio sarebbe come non ricordare più la strada del caporale che poi è l’unica strada percorribile per tornare al mio punto di partenza e all’origine di tutti i pianti di mio nonno. 

Quella strada lì poi, aveva un nome concettualmente incomprensibile oltre che brutto. 

Mi vergognavo a scriverlo sulle cartoline e anche a dirlo a voce a chi mi interrogava: 

“Dove abiti?” 

“Fuori Casoli” rispondevo, piuttosto che dire “A quarto da capo”. 

“Cosa c’entra il nome del numerale ordinativo di quattro?” Mi sono sempre chiesta, a meno che ‘quarto’ non debba intendersi come l’abbreviativo di ‘quartiere’. 

Ma in ogni caso questo significa che ho vissuto in un ‘quartiere da(c)capo’ come lo intendeva il Caporale in cui la gente vive daccapo: e cioè limitandosi a nascere e morire, senza chiedersi cosa fare. 

Cosi per riacciuffare il senso del discorso ogni volta, e cioè ‘daccapo’, ho aggiunto alla lista delle necessità una matita rossa ‘da viaggio’ che ho ereditato dal ‘venditore di gasolio’. Le teneva tutte strette con un elastico e come consolazione della mia dipartita al paesello ne sfilava sempre una:

“Tiè una per te e una per il Prof.re Fiorentino” – mi diceva.  

“Racconti in valigia”

Fossacesia

trabocco

La matita è stata utile anche ad annotare pensieri, nomi delle strade, numeri di telefono e qualcosa da raccontare. Cosi sulla spiaggia di punta Aderci, mentre il marito per tenere a bada il suo iper attivismo costruiva capanne alle mie spalle, io immobile come l’Abruzzo mi ha insegnato ad essere ora leggevo ora scrivevo qualcosa e, tutto, senza muovermi di un passo. 

E’ stato in quei giorni di cavalloni e canne al vento che mi sono divertita a scrivere in risposta ad un’intervista sul blog di Rolling Pandas. 

E’ bastato che Alice, la mia interlocutrice mi chiedesse se la cucina può rappresentare l’identità di un luogo, per sentirmi nel posto giusto, nel momento giusto. 

pineta

sise delle monache

Mi sono così ritrovata catapultata dalla spiaggia di Punta Aderci, in una rubrica con un nome adatto alla mia situazione, appunto: “Racconti in valigia”.   Perché senza una matita in valigia avrei avuto qualche difficoltà a ritornare “a capo” della mia geografia e della sua cucina.

Con le pinne fucili ed occhiali

autoritratto

Per essere essenziale quest’anno ho fatto a meno di pinne, fucili ed occhiali. Veramente non entro armata in acqua dai tempi in cui sono stata ripescata nel greco mare e portata direttamente in un posto di polizia. L’esperienza è stata in una parola: ‘disarmante’. E’ infatti da allora che, quando scruto l’abisso, mi accontento di essere innocua solo con pinne e occhialetti. 

Ma in Abruzzo no. ‘L’essenzialità del pigiama’ con cui tutta questa storia ha avuto inizio, mi ha imposto un atteggiamento spartano e un ‘abito’ più adatto all’habitat di una riserva naturale: come piedi al posto delle pinne e solo occhi al posto di occhialetti. Quasi una simil sirena che avrebbe potuto fare a meno anche del costume, se gli anni non mi avessero insegnato che la nudità è sempre meglio sperimentarla in presenza di un marito. Perché un marito funziona meglio di una scacciacani: e infatti un uomo, dove c’è una donna con un altro uomo, gira sempre la faccia dall’altra parte anche se dall’altra parte c’è un muro.  

Hisi 4K CAMmare

A Lama de Peligni

A Lama de Peligni invece tutto cambia: nessuno si gira dall’altra parte anche se una donna è ‘onestamente’ accompagnata e se è vestita di tutto punto. Lo sguardo della gente ti segue come un sibilo dall’ingresso del paese fino alla fine, col risultato quasi ‘confortante’ che tutti già sanno esattamente cosa sto cercando.    

E infatti tutto il paese nel giro di due tentativi andati a male, si è mobilitato perché trovassi le famose sfogliatelle di Donna Anna. E le sfogliatelle non sono state l’unico acquisto fatto. Forse in preda ad un moto nostalgico credo di essermi ritrovata nel sacchetto della spesa anche  una salsiccia di fegato, un pecorino di vinaccia, una bottiglia di genziana, una pizza scima e il noto peperone di Altino.

Io e la signora della bottega dei prodotti tipici abruzzesi abbiamo passato il breve tempo della spesa a diventare grandi amiche, scambiandoci ricette e segreti in cucina, ma sull’uso del peperone di Altino sono certa di averla spiazzata. E’ bastato richiederne un esagerato quantitativo, per dover rispondere alla sua curiosità: “Ci faccio la pasta”. 

Di pasta in pasta

pasta fatta in casa

pasta fatta in casa

E così ecco che mi sono ritrovata a parlare di impasti d’acqua e farina con il peperone rosso di Altino e di trafile domestiche per una pasta fatta in casa come Dio comanda.

Come quella che nonno Nino ci faceva riportare dentro scatoloni ancora imballati, prima che il pastificio Spiga chiudesse. 

Nonno Nino e Nonno Osvaldo sono sempre stati in competizione ad ogni nostra ripartenza: uno con i pacchi di pasta e l’altro con le matite rosse. Chi offriva di più?

E in effetti se a un certo punto ho pensato di poter scrivere raccontando di cucina famigliare, attraverso ‘ricette e vicende’, sicuramente gli strumenti necessari sono arrivati proprio da tutti e due.

“E come mai proprio la pasta?” Mi chiede la mia ormai ‘grande amica lamese’ di prodotti tipici abruzzesi. 

Forse perché io e la pasta una storia in comune ce l’abbiamo, che è anche la storia del Pastificio in cui il figlio del padrone e quello dell’operaio passarono dai giochi in cortile a studiare insieme il pianoforte e poi a fare anche lo stesso liceo. Per molti quei due ragazzi potevano dirsi come fratelli: due gocce d’acqua indistinguibili e invece uno, e non l’altro, conosceva molto bene anche i segreti della pasta. Quello era il figlio dell’operaio. Io, sua figlia.   

“Ma chi vive in Abruzzo, che fa?”

Quello che ho capito pedalando in lungo e in largo per la mia terra è che questo Abruzzo in lenta trasformazione e più aperto ad un turismo ‘verde’ tra parchi e riserve, lo devono raccontare soprattutto gli abruzzesi e non la fanfara di urlatori che venuti da fuori, diranno incautamente dell’Abruzzo all’Abruzzo: “Però! mica male l’Abruzzo”. 

Perché per raccontare l’Abruzzo ci vuole la nostalgia dell’Abruzzo: per spiegare bene quello che una volta era Abruzzo e quello che oggi è, proprio come facciamo io e Mario quando per ritrovarci chiediamo l’uno all’altro: “Che fine ha fatto tizio?Che fine ha fatto caio?” 

Ed è questo il solo l’Abruzzo che merita di essere tramandato, a patto che a raccontarlo sia un abruzzese e che la domanda da cui cominciare sia quella di sempre: “Ma chi vive in Abruzzo, che fa?”

un 'estate a pedali

8 thoughts on “Un’estate a pedali

  • Grazie per le emozioni che la tua narrazione mi ha dato…
    Da quando ti ho conosciuta anni fa ho sempre detto che le tue parole anche le più ovvie non sono mai banali .
    Questo scritto conferma che avevo ragione …
    Ciao e complimenti anche a nome di Mary che condivide …
    Roberto

    • Mary e Roberto, l’emozione di raccontare il nostro Abruzzo è legata a quel nostro mare che ho avuto la fortuna di condividere con persone belle come voi. Sono certa avrete riconosciuto le nostre spiagge a cui è legato il ricordo delle belle chiacchiere al sole. Peccato non essere riusciti a vederci quest’anno, ma sono certa grazie all’affetto che ci lega, che saremo in grado di recuperare tutto il tempo di questi anni appena possibile e ovviamente davanti un buon rosso 😉

  • oh Laurè… bentornata amica mia…
    Io questa estate io non mi sono mossa dal paesello mio, che pure noi qua.. sul ” che si fa’ ” ne avremmo da dire.. Ma tu oggi, sta sera, or ora, mi hai trasportata dentro il cestino della tua bici, in lungo e in largo per il tuo Abruzzo nostalgico, di punta in punta come mai mi era successo…E quindi Laurè, mi trovi senza parole perchè ho viaggiato con te tutta d’un fiato dimenticandomi che vengo da Ca’ Mariano e che nonna abitava a Ca’ Braccio e che da piccola andavo a far vendemmia a Ca’l Bianco dalla zia Netta dove toglievo scarpe e calzini, e pigiavo l’uva coi piedi…..
    Perchè hai ragione che è a te, a voi che va chiesto di portarci lì, di guidarci di punta in punta perchè solo voi potete rispondere…. ”Ma chi vive in Abruzzo che fa?”
    Grazie,grazie mille Laurè…
    e… sei bellissima…
    Io fossi uomo ti guarderei comunque, marito o no…
    Manù
    ps. ho fatto un sacco di marmella pensando a te..<3

    • ‘Sul che si fa’ proprio in quei luoghi in cui sembra che nulla accada penso di poter scrivere un giorno la storia più emozionante della mia vita 😀 Perché è in questi casi che l’immaginazione si mescola ferocemente alla realtà in un imbroglio da cui è difficile venire a capo.
      Manù mi sei mancata e non lo dico così tanto per dire 😀
      e così anche io quando sono rientrata alla base e ho ricominciato a fare marmellate ti ho pensato,
      perché, e chissà perché, ti immaginavo intenta a cantare Mina in tutti gli acuti possibile davanti a suffumigi di marmellata 😀
      Si quest’anno ritrovare la mia terra in lenta trasformazione mi ha inorgoglito forse un po’ troppo, ecco perché sono diventata intollerante verso tutto quel nuovo turismo che davanti alla scoperta di una terra mai visitata prima, si sorprendeva del suo fascino… e certo che se uno non ci viene in Abruzzo non saprà mai quanto è bello.
      Manù e per quel ‘bellissima’ io ti ringrazio di cuore soprattutto perché io in quella foto ci ho voluto dentro tutte le rughe del tempo e pure il vento necessario per scapigliarmi… perché è così che in genere mi presento ovunque e questa è anche l’unica ragione per cui in genere ‘taglio sempre la testa’ nelle foto di food.
      E se nonostante tutto tu mi guardassi lo stesso, io ne sarei felicissima proprio alla luce di tutto quello che ti ho detto.
      Manù che bello ritrovarti!

      • C’hai ragione Laurè…. su tutto…
        Io non vedo l’ora di leggerla la storia più emozionante della tua vita, perchè già tra il fornitore di gasolio, il figlio dell’operaio del pastificio, la signora dei peperoni che tu ”ci fai la pasta”,.. io già mi vedo scorrere le pagine sotto le dita come mosse da quel vento che ti scompiglia i capelli…
        Tu non sai come mi presento io…. ehehe.. oltre allo scompiglio, c’ho pure qualche foglia di mezzo perchè come minimo la mezz’ora prima ero sotto qualche cespuglio o incastrata in qualche albero…
        Però, dico io, se uno (uno qualsiasi, uomo, donna, amico, amica, fratello, cugino…persino il cane) ti prende così, se ti sa accogliere così…allora stai a posto… sei in una botte di ferro, che ti puoi mostrare senza filtri alcuni..
        Le prugne viola Laurè… Dio che roba le prugne viola… so’ da Mina un sacco…. sì… c’hai proprio preso….
        Dai che tra poco ricomincia scuola….
        sempre lo stesso banco?
        un bacio garnde
        Manù

  • Ciao Laura,
    mi hai fatto entrare nel tuo mondo di dentro che sta anche lì fuori, in Abruzzo. È bello continuare a conoscersi dopo tanto tempo, senza vedersi.
    Ti abbraccio con affetto
    Chiara (Pascal)

    • Chiaretta!!!
      Che bello ritrovarti qua e cioè in quel mondo che proprio ai tempi del Pascal è nato!
      Dopo tanto tempo io ti dico che la voglia di rivederti e riabbracciarti non mi ha mai abbandonata un attimo,
      per cui cara mia, a quando???
      Ti abbraccio fortissimo!

      • Quando vuoi Lauretta , anche perché sono in pensione dal primo settembre! Mi devo organizzare con la Mazzeo e venirti a trovare. Un grande abbraccio a te!

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