Mio nonno Osvaldo aveva tutto un suo modo di dire le cose così che anche le cose, di cui parlava, diventavano ‘sue’. Era ‘sua’ ad esempio la storia del dente di squalo che conservava nell’ultimo cassetto della sua scrivania, ma soprattutto ‘suo’ era il dente! ‘Suo’ era il modo di augurarmi ‘buona fortuna’ prima di un esame all’università, quando urlava dall’altro capo del telefono: “A recchie ritte!”
E se per qualche motivo si dimenticava di ricordarmi di ‘stare in guardia’ con le ‘orecchie dritte’, c’era allora la ‘sua’ frase di riserva: “Sctuccagli il fiato!” Come a dire, che l’ultima parola dovesse assolutamente essere la mia.
Burbero era burbero, soprattutto con quella ‘santa donna’ della nonna Ida che in cucina provava ad accontentarlo in tutti i modi possibili e nonostante ci riuscisse sempre, lui si ostinava a credere che il merito fosse suo. E infatti, raccontava a tutti che proprio lui le avesse insegnato a cucinare, ma questa era ovviamente una menzogna. Una ‘sua’ menzogna che si concedeva per il piacere di raccontare una storia tutta ‘sua’: che anche per mentire bisogna avere qualcosa da raccontare!
Forse il suo modo di gustare certi piatti, forse il suo modo di raccontarli: per me tutto ciò di cui parlava era credibile, nello stesso modo in cui tutto ciò che arrivava dalla sua forchetta era gustoso.
Il pesce poi, era un capitolo a parte delle sue storie semiserie: c’era il pesce comprato al mercato che diceva di aver pescato; c’era il pesce di lago che diceva di aver trovato al mare, e poi c’erano i frutti di mare, ma quelli avevano un’altra storia ancora.
Li raccoglievamo insieme quando andavamo in spiaggia. E si trattava nella maggior parte dei casi di telline, che servivano non solo per condire i nostri spaghetti ma anche per ‘salvaguardare’ sua la siesta pomeridiana: “Svegliami quando riuscirai ad acciuffare la ‘lingua’ di una tellina!”
Mica male come metodo per allontanarsi indisturbato e assicurarsi un riposino senza interruzioni di sorta. E infatti mi ritrovava a gambe incrociate a tentare di acciuffare nell’acqua molluschi ritrosi, esattamente nel punto in cui mi aveva lasciata, prima di andarsene.
Io credo si stupisse della mia fedeltà nei suoi confronti ed è per questo che un giorno mi ha rivelato un segreto importante: il sale.
“Ci vuole il sale, per acciuffare i molluschi!” mi disse, il giorno in cui mi aveva lasciata alle prese con delle lumachine di mare. Così dopo averle disposte su un vassoio, un attimo prima di versarle in acqua bollente, abbiamo aggiunto il sale e quelle tutte insieme hanno cominciato a fare capolino sotto i nostri occhi divertiti. Insomma un vero ammaliatore mio nonno! Ah ma lui ovviamente le lumachine di mare non le chiamava così: per lui e anche per me, si trattava di “Bummalletti”!Guai a non chiamare le cose col nome giusto!
Così tempo fa, quando le ho trovate al mercato, le ho comprate un po’ per voglia, un po’ per nostalgia, ma non pensavo di avere la sua ricetta. Anzi non ricordavo di averla. E si perché la ricetta c’era, insieme a tutte quelle che un giorno abbiamo ricostruito sullo scalino di casa sua, e trascritto sul mio taccuino, prima che io me ne andassi a vivere Roma.
In quel periodo non lo preoccupava tanto che io mi allontanassi, quanto il fatto che lo facessi per un fidanzato che non mangiava pesce. E, per questo ovviamente, non si dava pace! Ecco perché quando la mia strada s’incrociò felicemente con quella del matematico ‘russo’, a poco servì il mio riservo a parlarne subito in famiglia. Lui semplicemente capì tutto, chiedendomi cosa avevo comprato di buono al banco del pesce.
Ricetta dei Bummaletti di Nonno Osvaldo
Ingredienti: 300- 400 gr di lumachine di mare; 4 cucchiai di olio evo; 250 gr di pomodori pelati; 1 spicchio di aglio; 1 rametto di rosmarino; 2 foglie di alloro; 1/2 bicchiere di vino bianco; sale (integrale) qb; prezzemolo qb
Procedimento: spurgare le lumachine in acqua leggermente salata, cambiando di frequente l’acqua di ammollo. Portare ad ebollizione l’acqua non salata e prima che questa raggiunga il bollore sistemare le lumachine in un vassoio e salarle per favorire la fuoriuscita del mollusco. A questo punto, versare le lumachine nell’acqua che bolle. In questo modo si fermerà la fuoriuscita del mollusco dalla conchiglia e si renderà più facile la sua estrazione al momento di mangiarlo. Lasciar bollire nell’acqua per 10′ circa.
Nel frattempo in un tegame dai bordi alti, riscaldare sul fondo l’olio con l’aglio, il rosmarino e l’alloro. Poi sfumare con il vino e, appena evaporato, aggiungere il pomodoro. Salare quanto basta. A questo punto aggiungere le lumachine appena scolate, nel sughetto e lasciar cuocere finché non risulterà saporito e ben rappreso. Una spolverata di prezzemolo, per servire e fettine di pane per gustare il buon intingolo insieme ai frutti di mare.
Laura ti leggo sempre con tanto piacere! Che tipo che era tuo nonno, bello crescere accanto a un cantastorie così! Quando poi il cantastorie ti insegna anche le ricette, diventa proprio un ammaliatore!
meraviglioso racconto, il finale poi.. sorrisi e lacrimuccia in agguato, che oggi io boh c’ho un po’ la lacrimuccia facile..
i nonni sono un patrimonio inestimabile, è proprio così..
E’ molto bello quello che hai scritto di nonno Osvaldo ed io come lui voglio gridarti…….” A recchie ritteeeeeeeeeee”
per tutta la vita!!!!!!!!!!!!!!!! Un abbraccio forte forte.
Juls
Cara Giulia che bello, mi fa piacere sapere che le mie chiacchiere sono un invito per te a testare, in realtà mi piacerebbe anche invitarti ad assaggiare, per sapere cosa pensi di questa cucina abruzzese che ho la sensazione ti piaccia tanto 😀
un bacio e aspetto di vedere presto un ‘soffione’ da te!;-)
Barbara
Barbara cara e allora completiamo pure l’opera, ho scoperto di aver pubblicato questo post lo stesso giorno in cui lui, un po’ di anni fa, mi ha salutato definitivamente ma ovviamente io questo non lo ricordavo (in genere io gli anniversari tristi li dimentico). Questa per me non è altro che la prova evidente di una nostra corrispondenza anche a distanza 😀 Ti mando un bacio!
Antonella
‘A recchie ritte’ sempre!;-)
Nonno Osvaldo e’ di una simpatia unica! Appena ho letto “a recchie ritte” per qualche ragione sono riuscita a vederlo mentre te lo diceva. Hai un modo di raccontare, di scrivere e trasmettere che mi lascia incantata ogni volta … e quei bumaletti li faro’, se non altro per il solo gusto di vederli fare capolino dopo la cosparsa di sale.
Elvira
E si sono sicura che di persona ti sarebbe piaciuto ancora di più, aveva il giro vita di un mappamondo ma era allo stesso tempo molto agile e divertito sempre. Burbero e incantatore come quei sapori dolci e mari che creano dipendenza!Amava raccontare ma anche ascoltare e quando ero io a raccontare per lui, rideva di gusto così come mangiava e la sua massima espressione di divertimento consisteva nel ripetere:”Ahi ahi ahi’… come se la risata arrivasse addirittura a procurargli un ‘dolore di felicità’… un vero genio della contraddizione!Sono felice felice di sapere che ti siamo piaciuti entrambi!;-)
mia cara Laura, quanto sei brava a scrivere! mi sono anche emozionata, pensando al mio, di nonno, che è tanto diverso dal tuo, ma un po’ burbero è anche lui e, piuttosto che vedermi cercare telline, mi vedeva (e vede ancora) spulciare tutte le piantine di fragole del suo orto per potermi tingere la bocca di rosso. Poi c’è anche questa cosa, che ogni volta che andiamo ad un ristorante di pesce, lui ordini sempre lo stesso menù. E non importano gli anni e i problemi comportati dalla vecchiaia, a lui il suo fritto misto non lo toglie nessuno, perché è uno sfizio che non può non concedersi…ma questa, è un’altra storia:-) tornando a te, invece, ti ringrazio di emozionarmi sempre di fronte ad uno schermo apparentemente asettico con i tuoi racconti e le tue ricette dense di ricordi: mi fai viaggiare con la mente.
Un abbraccio grande, Marta!
Impossibile non rimanere incantati davanti al racconto di nonno Osvaldo, un personaggio davvero unico raccontato come sempre in maniera brillante. I nonni sono davvero importanti e anche quando non ci sono più la loro presenza accanto a noi è tangibile, sia con le foto che con i ricordi vividi come il tuo. Tante volte vorrei rivivere certi momenti e parlare con loro “tra adulti” e questo è quello che mi manca di più… La cucina però è un ottimo vettore di ricordi, sia come ricette (magari tramandate proprio dai nonni e dai loro appunti) sia dal punto di vista dei ricordi olfattivi e gustativi 🙂
Mimma e Marta
Cara Marta, come dice Barbara, i nonni sono veramente un bel patrimonio da tutelare e non smettere di ricordare mai!Mi raccomando non smettere di ordinare il fritto la prossima volta insieme a lui e fai tesoro delle sue storie preziose e soprattutto di quelle legate al cibo che più facilmente diventano serbatoio di tanta memoria involontaria che ti aiuterà a sentirti in sua compagnia sempre!:-D TI abbraccio e ti auguro una dolce notte!;-)
Virginia
Cara Virginia, sapessi che darei per invitare a pranzo fuori nonno Osvaldo, solo io e lui. E cominciare a parlare di tutto quello che non abbiamo fatto a tempo a raccontarci. Al momento mi accontento di ritrovarlo nell’aria ogni volte che sono alle prese con una sua ricetta 🙂 non è male come sensazione!Ti mando un bacio e come sempre non sai che piacere trovarti da queste parti!A presto!
Laura,
E’ da tanto che non mi fermo tra le tue righe, da troppo tempo. Ed è con immensa gioia che ho letto ogni storia di nonno Osvaldo, ogni tua storia tra lumachine e appunti di ricette persi e ritrovati. Me l’appunto la tua ricetta, cosi’ durante la nostra prossima gita in Bretagna, la faccio mia – e mi immagino già tutte le (mie) storie che inventero’ sotto gli occhi incuriositi delle mie bambine. Un abbraccio, cara Laura!
Tu e il nonno Osvaldo somigliate ad una tavolozza piena di colori…….. I più belli, i più vivi!
Quando parli di lui ho la sensazione di potergli telefonare ancora! Grazie.