Noi le chiamiamo ‘cene franzose’, al posto di ‘cene francesi’, ma la verità è che sono le cene prenatalizie: quelle sul tagliere di tartine e terrine, da mangiare rigorosamente con le mani e a gambe incrociate sul tappeto. Possibilmente tete à tete.
Svuotiamo il frigo del bottino più interessante dell’ultima spesa, prima del Natale, e brindiamo finalmente all’inizio del giorno dopo e di tutta l’impresa di concerto da cui tireremo fuori l’inevitabile trinità: parrozzi, caggionetti e celli pieni.
E’ una questione di ‘abruzzesità’ che a Natale non mi risparmia neanche un po’ soprattutto quando l’argomento è ricorrente: scrippelle per il brodo di cardo del venticinque, scrippelle per il timballo alla teramana del ventisei.
Ma è anche una questione di richiamo delle origini e di ritorno a monte di tutto quello che sono: io, il mio tempo e i miei luoghi.
Quest’anno però ho già deciso una cosa: i celli pieni non li regalo a nessuno.
Un fatto di egoismo forse o forse di equità tra le parti. Come a dire: “Parenti e amici si godano pure parrozzi e caggionetti, ché i celli pieni me li godo io, da adesso fino a che non sarà più Natale.”
Quanto al Natale quest’anno lo abbiamo atteso con una certa immaginazione, solleciti proprio per questo all’addobbo di un albero prematuro: addirittura alla fine di novembre, addirittura dall’oggi al domani proprio nel bel mezzo del tappeto delle cene ‘franzose’ e ‘tete à tete’.
Per l’occasione ci siamo serviti delle campanelle in porcellana di S.Egidio, commissionate a mia madre nell’ultimo giorno di agosto: il proposito era proprio quello di appenderle tutte a dicembre, perché suonassero come allarme antigatto e anticane in difesa dello spropositato numero di dolci sotto l’albero della cuccagna natalizia.
Quello che manca ancora, e che mi riguarda da vicino, è la trasformazione definitiva nella casalinga professionista e sorridente tra bucce d’arancio e bastoncini di cannella per tutti i pacchetti che si sigilleranno.
Da quello che so mia madre, è già nel bel mezzo della sua metamorfosi più riuscita: e infatti, impacchetta tutto ciò che è a portata di mano, votata alla causa dell’imballaggio natalizio a oltranza.
Ma la verità è che lei è così: seriale ed euforica sempre, soprattutto quando è al telefono con me. E in questi casi ‘due cose’, che sono rispettivamente una richiesta e una raccomandazione, me le dice sempre.
La prima, banale e necessaria, è la richiesta di un parrozzo esclusivo per mio padre: “Sai com’è ‘il parrozzo della figlia’ dice che è suo e non vuole mai offrirlo a nessuno”.
La seconda, banale e necessaria, è la raccomandazione di un parrucchiere esclusivamente per me: “Sai com’è prima delle feste, una messa impiega fa bene quanto una messa di Natale”.
Non che le due cose siano in relazione: fare parrozzi e incontrare un parrucchiere. E anzi, in questi anni, una certa inconciliabilità ha sistematicamente determinato, delle due, l’esclusione di una che era sempre la seconda.
A questo proposito è difficile convincere lo storico coro femminile abruzzese, e di famiglia, che sfornare parrozzi su commissione, per i giorni che precedono il Santo Natale, non consente di fare molto altro, se non rimandare l’appuntamento dal parrucchiere alla fine delle feste.
D’altronde essere presentabili nei giorni di festa per me è una formalità, ma non lo è per l’aspettativa che di me hanno parenti e amici di rivedermi e valutare se dopo vent’anni, sono ‘addirittura uguale a prima’ o ‘addirittura’ cambiata.
E anche io mi interrogo con una certa apprensione a riguardo, quando al casello dell’autostrada prendiamo l’uscita per Lanciano, in genere una strana agitazione mi assale, ma dura sempre l’istante di un secondo: il tempo di sentire, nel sussurro soffocato di un abbraccio, un dialetto che riconosco: “Chissì pare sembr ‘na citile”.
Meno male: una frase non veritiera, ma che sa di famiglia.
In questi casi quello che succede, è che mi rilasso e mi pento di non aver condiviso i celli pieni che sono sempre la terza fatica del mio trittico natalizio preferito.
Ad ogni modo quello che posso fare è condividerli almeno tra le ‘ricette e vicende’ che più mi sono care, se non altro per non rischiare di diventare come mio padre: ché da quello che so, ultimamente, il “parrozzo della figlia” non lo offre più a nessuno.
Ricetta dei “Celli pieni” abruzzesi impasto con le uova
E allora, a proposito di ‘celli pieni’, molte sono le varianti di questo particolare tarallino ripieno di confettura alle uve di Montepulciano d’Abruzzo. Qualche anno fa ho condiviso una versione più essenziale con un impasto a base di vino e olio, più friabile e croccante.
Resta tuttavia più apprezzabile, per tutta una serie di suggestioni e sapori della mia infanzia, la versione in cui le uova regalano una particolare elasticità all’impasto e la tradizionale crepa sul dorso del biscotto.
Questa è la mia versione preferita che regalo a chiunque decida di goderne durante queste feste in solitaria o in compagnia.
Ingredienti (dose per 20 celli pieni):
(Per l’impasto)
- 280 gr di farina (io farro)
- 60 gr di zucchero (io di canna)
- 30 gr di olio evo
- 2 uova intere
- 2 cucchiai di mosto
- 1 cucchiaino di cannella
(Per il ripieno)
- Marmellata d’uve nere di Montepulciano qb
Procedimento:
- In una planetaria impastare tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto morbido e liscio.
- Ricavare da questo venti pallina della stessa dimensione
- Stendere con un matterello 20 dischetti di impasto
- Collocare al centro di ogni dischetto la marmellata d’uva
- Sigillare i bordi ricavando delle mezzelune e con una rotella taglia pasta, eliminare l’eccesso del bordo.
- A questo punto avvicinare le estremità ricavandone un tortello.
- Infornare a 180 °C nella modalità forno ventilato per 30 minuti.
- Sfornare e spolverare di zucchero a velo.
Fammi dire una cosa per prima Laurè… ‘viva babbo che se pappa tutto il parrozzo’….Lo stimo..
Qui in casa Manù, non ci sono ‘cene franzose’, ma solo giornate rocambolesche, fatte di incastri vari ed eventuali che puntualmente inciampano in una telefonata o in un sms, che solitamente recita così: ‘Manu, senti… prepareresti… ‘ e tu, che devi destreggiarti tra visite mediche e non, pomeriggi interi passati in ambulatorio solo per fare una misera ricetta, ti ritrovi nel pomeriggio di martedì, mentre aspetti che arrivi una tua amica a prendere un caffè, a preparare due frolle ed un ciambellone, per il saggio dimostrativo di Dicembre della scuola di pugilato di tua sorella. … perchè tu, che sei sorella con cuore morbido,non sai dire di no, soprattutto quando si tratta dello spadello, e più che mai di quello dolciario….
Ero stra sicura delle crostate, ma per la ciambella non sapevo quale fare.. pensavo faccio una torta di mele?, un plum-cake allo yogurt? una torta marmorizzata al cacao? … Sono bambini, Manu, fa’ una roba semplice, mi ripetevo mentre fissavo l’orologio.. Poi ho avuto un illuminazione… La scolara!!!! l’Antoci!!! Il ciambellone da interniiii…
Quindi mi fiondo qui.. piglio carta e penna, mi segno quello che serve, vado in cucina, preparo tutto e verso l’impasto nello stampo,schiaffo in forno e metto il timer… mentre la mia super torta cuoce, porto fuori la belva canina perchè so’ che poi, con la mia amica andrà un po’per le lunghe. Quando torno guardo dentro il forno e mi ritrovo al posto della classica ciambella rotonda una via di mezza tra l’Etna e una navicella spaziale… l’impasto è cresciuto tanto, è passato sopra il buco e quindi è diventato una specie di montagna con un cratere… Porca miseria… lo stampo forse era troppo piccolo,eppure son sicura sia da 24, era meglio che la facevo in quella senza il buco e poi magari la tagliavo e la farcivo con della marmellata.. Vabbè, aspetto che termini la cottura e sforno. Nel frattempo arriva la mia amica e chiacchieriamo mentre io stendo, inforno e sforno le due crostate….
Il giorno della consegna del materiale, volevo rimediare alla magagna ed allora ho pensato di dargliela già tagliata, così mi metto a porzionare sta specie di cono profumatissimo però…La cosa tutto sommato, non mi è dispiaciuta perchè per fare delle fette simili e carine ho fatto tanti pezzetti di ‘scarto’, che ho tenuto con tanta cura e riservatezza in una ciotolina di porcellana eme li sono pappata la mattina successiva a colazione… Oh Laurè… buonissima,anche in formato Vulcano spaziale… è una bomba sta ciambella dell’Antoci…
Per quanto riguarda il parrucchiere, capisco lo slittamento dell’appuntamento in favore della triade regionale e posso dirti che c’hai tutto il mio appoggio…
Fatta tutta sta saga ciambellotica, volevo solo dirti che sono sicura tu sarai comunque meravigliosa anche senza parrucchiere e che sarai ‘addirittura uguale a prima ‘ e passerai l’esame…
Ti faccio tanti auguri amica di banco, di credenze, di pacchetti, barattoli fatti in casa e di slittamento di parrucchieri…
Grazie per aver condiviso con noi, almeno qui la ricetta dei celli…
Un abbraccio
Manù.
Manù bella ti spiego cosa deve essere successo, anzi ti faccio una domanda: “E’ possibile che avendo tu visto le dimensioni del mio ciambellone ti sia fatta un’idea della teglia che poteva contenere il tutto?”
Perché in realtà nel mio caso il ciambellone di Antoci era stato ridimensionato per sfamare le due solite anime che in casa abitualmente mangiano :-D. Invece la ricetta del ciambellone, per onor del vero, cioè proprio quella da me trascritta era quella ‘originale’: quella che doveva servire a sfamare una classe di 26 alunni compresa me, ogni volta che Antoci festeggiava un anno il più. 😀
Ad ogni modo io sono felicissima ti sia piaciuto nonostante l’aspetto spaziale!
L’esame abruzzese è una cosa seria: io veramente non li ho superati mai, non solo per i miei capelli poco addomesticabili, ma anche per il mio rifiuto a montare sui tacchi e a smettere di mangiare le unghie.
A me tu quando parli ‘dello spadello’ o ribattezzi la saga della banana con quella ‘ciambellotica’ mi fai morire: io rido proprio di gusto esattamente come mangio, per darti l’idea.
Condividere la ricetta era necessario, perché quando avrai voglia di spadellare per una nuova richiesta della sorella, questa frolla potrebbe fare al caso tuo e io ti prometto che non diventerà un disco volante 😀
Anche io ti auguro un felice Natale e ti abbraccio fortissimo!
A presto!
Ogni promessa è debito 😉 quindi… farò queste meraviglie di cappelli, che non diventeranno dischi volanti, ma sicuramente avranno forme meno aggraziate delle tue… 🙂
Ehm.. pure io non tacchizzo e magno le unghie… cavolo… non passerei l’esame nemmeno io.. vabbè…
Per quanto riguarda la ciambiz (la chiamo così, perchè siamo in confidenza) forse hai ragione, forse la tua foto mi ha ingannata e ho pensato che la mia teglia potesse contenerla senza farla gontare…
La prossima volta la faccio in quella senza buco, di diametro più grande e magari la farcisco veramente con la marmella…
ah..invece, se la mia confettura di uva non è di Montepulciano, ma di uva nera agricola e contadina va bene uguale???
Grazie infinite e .. … a Natale gnocchi di castagne… no vedo l’ora….
<3
Manù
Eccomi Manù, perdona l’attesa ma sono stata risucchiata dal vortice vacanziero delle ‘case-fermata’: ventiquattro casa cognati, venticinque casa miei, ventisei casa mia. Un giro di case non banale se penso che in mezzo ci sono due regioni!:-D Ad ogni modo si, la tua confettura contadina andrà benissimo e se pensi sia poco gelificata puoi usare rimedio abruzzese: ispessiscila con un po’ di mandorle tritate, un cucchiaio di cacao in polvere, 1 cucchiaino di cannella e uno di caffè, un cubotto di cioccolato fondente tritato, metti sul fuoco il tutto per sciogliere bene il cioccolato nella marmellata e otterrai un composto più compatto ed estremamente gustoso 😉
Ohi Natale è passato, come sono andati gli gnocchi di castagne?:-)
aaaaaaaaaahhhhh ma che figata pazzesca èèèèèèèè… ?????? sta cosa delle mandorle, cioccolato caffè, cannella..oddiooooooo….bbbbuonaaaaaaaaa…
ehm mi ricompongo….
Volevo scriverti scriverti da qualche parte in giro per web…poi mi sono trattenuta…
Sono spaziali… gli gnocchi di castagne intendo…sono buonissimi..volevo fare anche una foto… stra fiera anche del fatto che sono riuscita a dosare l’acqua lentamente e non ho avuto bisogno d fare aggiustamenti di farina (cosa per me non da poco, dato che non sono molto precisa hihihi..cioè sono un goccino sframbatella)..
Li ho conditi,con un pesto di radicchio e noci,ovvero non ho fatto altro che stufare del radicchio in un tegame e poi frullarlo assieme alle tue noci e al tuo parmigiano.. una piccola aggiunta amarognola che non guasta…. 😉 ..
Qui si sono spostati solo i sederi,di mia sorella e del suo fidanzato, da casa loro alla mia, ed è successo così… il ventiquattro casa mia, il venticinque casa mia e il ventisei casa mia.. olè…. la loro tratta è stata (ed è) molto breve, poche centinaia di metri ed un percorso anche abbastanza agevole…tutto in piano, percorribile anche a piedi e senza pagamento di pedaggi (che,mi permetto di dire,non guasta)..
Siccome però non siamo mai contenti,mia mamma, quella che sgrafigna banane di nascosto, è caduta e si è rotta il malleolo… quindi gesso (per concludere l’anno in bellezza ovviamente…) e piccola belva canina in agitazione,perchè la sua adorata padrona saltella come un grillo da una parte all’altra della casa e lei (che in realtà è un lui..;)) non ce sta a capì ‘na mazza…
Tu.. oltre a transitare ‘di stazione in stazione’, hai passato l’esame?
Baci soleggiati
Manù
le ricorrenze contengono la grande magia delle cose che tornano, appunto, dei punti fermi che ci fanno sentire al riparo. le tue storie natalizie fanno ormai parte anch’esse del mio tempo di natale e luccicano sempre. buon natale, cara Laura, bianco e lieve come la neve.
Vale cara è proprio come dici tu, c’è dentro tutto il piacere delle cose che tornato e in questi ultimi anni in effetti io stessa mi sorprendo di come riesca a parlare esattamente delle stesse cose ogni volta in modo diverso. Buon Natale anche a te amica mia, ti abbraccio forte forte spero tanto di rivederti presto, magari davanti ad una delle nostre merende-cene attaccate!;-)