A Pescara, all’inizio di Via Leopoldo Muzi, prima delle rotaie c’era un forno che forse c’è ancora e io magari non lo so più. Comunque questo forno era una tappa obbligata prima di andare al mare: qui si prendevano un sacchetto di neole per la giornata, la pizza rossa per la seconda colazione e i ‘paperini’ per accompagnare pranzo. E anzi i paperini si compravano per non pensare al pranzo: ci mettevi dentro la frittata e si ringraziava il cielo con uno ‘scià benedett’ per non aver cucinato.
Il nome non va oltraggiato, non sono baguette ma filoncini più sottili, più corti e più croccanti. Insomma, sono i ‘paperini’!
La questione del nome
Noi abruzzesi ci veniamo di sangue, attaccati al nome delle cose, le nostre cose, e questo è uno dei motivi per cui delle volte ci insultiamo anche tra noi, se necessario a indicare luoghi precisi e identità da salvaguardare.
Io stessa sono a rischio quando fuori distretto, mi incaponisco a chiamare le ferratelle pescaresi, ‘neole’: e infatti quando lo faccio un’ortonense dietro l’angolo c’è sempre a ricordarmi che le mie ‘neole’ non sono le sue ‘nevole’ e in effetti ha ragione visto che si tratta di due cose completamente diverse.
O come l’altro giorno che ‘un pié veloce’ mi ha tolto il piacere di parlare delle ‘lingue di suocera’ chiamandole banalmente ‘biscotti alle mandorle’, prima che io stessa potessi precisarne la storia e soprattutto l’origine, che anche in questo caso è abruzzese, nello specifico chietina.
Ed ecco perché i paperini non si toccano e soprattutto non si chiamano baguette, lo chiedo per favore a tutti quelli che sono sinceramente curiosi per la provenienza delle cose e non hanno fretta di equiparare Tizio a Caio e viceversa.
Pan di sempre
L’altro giorno ho pensato la stessa cosa anche a proposito di un sacchetto di farina con un nome bellissimo: ‘Pan di sempre’.
In questo caso la promessa sul sacchetto era chiarissima e quasi quasi ‘rivoluzionari’, non numeri per indicare le forze speciali, ma solo una gentile concessione: “… per tutti gli usi”.
Ecco, e siccome i paperini appartengono al periodo in cui pensavo che il mio pan di sempre sarebbe stato sempre lo stesso, l’associazione ai miei filoncini preferiti è stata immediata.
Per rendere perfetta la suggestione di rientrare nei miei splenditi sedici anni di età, ho fatto l’unica cosa che si doveva fare: una bella frittata da stratificare a dovere in mezzo ai paperini.
Una petizione
In difesa di una cucina ‘ingnorante’ e ‘proletaria’, che troppo poco si vede in giro nella ‘mondovisione’ delle reti unificate di tutti i social, io proporrei una raccolta firme contro l’estinzione della cotoletta, della mozzarella in carrozza, ma soprattutto di pane e frittata!
Ecco una petizione cui aderiscano soprattutto i puri di cuore, i nostalgici delle cose andate, gli atleti che bruciano calorie e sensi di colpa e quelli come me che sui sensi di colpa ‘ci mangiano sopra’. A questi ultimi, se si sentono così vicini alla sottoscritta, mi raccomando la questione del nome è una cosa seria!
Ricetta dei filoncini ‘Paperini’ di Pescara (Via Leopoldo Muzi)
Ingredienti:
- 200 gr farina 0
- 200 gr di semola
- 200 gr di farina ‘pan di sempre’ (bio e macinata a pietra, per tutti gli usi)
- 100 gr di licoli rinfrescato
- 400/450 ml acqua
- 5 gr di sale
- una manciata di semi di lino
Procedimento:
- Nella ciotola di una planetaria impastare le farine con il lievito e l’acqua.
- Non appena l’impasto risulterà amalgamato ma ancora appiccicoso aggiungere il sale.
- Impastare nuovamente ad una media velocità finché l’impasto non risulti ben incordato.
- A questo punto non rimuovere l’impasto dalla planetaria, sarà necessario impastarlo nuovamente. Lasciatelo riposare in autosili per 1 ora circa (io in frigo tutta la notte).
- Successivamente, prelevare l’impasto, sezionarlo ricavando sette/otto panetti e procedere con le piegature.
- Infarinate quel tanto che è necessario a non far aderire l’impasto sul piano di lavoro (se in marmo non sarà necessaria molta farina).
- Allungare l’impasto nella forma di classica di filoncino e disporre in modo distanziato l’uno dall’altro su una teglia rivestita con carta da forno.
- Collocare i filoncini su una teglia e lasciar riposare in un luogo asciutto e al riparo da correnti 2 ore max.
- Accendere il forno alla massima temperatura.
- Prima di infornare, praticare degli intagli su ogni filoncino e infornare vaporizzando con uno spruzzino un po’ d’acqua per creare del vapore utile alla formazione di una crosta dorata.
- Dopo 10′ abbassare la temperatura a 220 C° e cuocere per altri 30′.
- Dopo 30′ controllare la cottura e se il pane avrà raggiunto la doratura desiderata, sfornare.
Allora…. Partiamo dal fatto che io non li avrei comunque chiamati baguette, semplicemente per il fatto che NON ci assomigliano neppure.. mentre invece SONO proprio dei paperini… li vedi lì belli allungati quei becchi? Quindi, i nomi sono SACROSANTI e qui sti sposo in pieno… Ma pooooi…. vogliamo parlare della maestra Fernanda che in gita alle elementari, durante il pranzo al sacco, estraeva dallo zaino un meraviglioso e fantastico panino con la frittata????? Lo tirava fuori veramente Laurè, perché le ricordava la sua infanzia e quindi lodi, lodi, lodi al panino con frittata… e, per una sorta di legge del trapasso, la curiosità fu tale da farmi intortare nonna fino a farmelo mangiare pure a me sto benedetto panino… e non solo per il pranzo al sacco della gita….
Ma il mare… quello aveva un rito tutto suo…
Madre ci svegliava (cioè ci tirava giù dal letto) alle 6 della mattina, me, sorella e fratello; ci vestiva, e in mezz’ora eravamo già in strada (dopo aver recuperato nonna), perché per arrivare al mare noi ci mettiamo un’ora buona e il sole bisogna prendere quello buono, cioè la mattina presto.. Quindi alle 7.30 eravamo in spiaggia, quella libera ovviamente, un freddo becco e a volte pure il vento, l’asciugamano arrotolato addosso e non steso, mio fratello attaccato al biberon e io e mia sorella col thermos pieno di latte… …
quindi la prima ora passava in intirizzimento e sbadigliamento… poi, una volta ripresici, iniziava la mattina che prevedeva il passeggio lungo con nonna… si camminava lungo la spiaggia e ci si fermava ad ogni venditore di braccialettini, e ciaffini vari… poooooooi una volta tornate all’ombrellone.. pizza rotonda bianca con lo rosmarino, oppure pizza rossa quadrata, ma piegata in due… ed erano le 9.15 ca.. la merenda.. poi prima della ripartenza verso le 11.30 un piccolo bagnetto con il cambio costume sotto l’ombrellone riparandosi a vicenda con l’asciugamano.. (che poi a 7 anni che vuoi riparare!).. Quindi si ripartiva e via a casa, dove si rientrava alle 12.30.. in tempo per il pranzo… finito il mare…
ma… ci sono stati anni in cui andavamo al mare una settimana intera con nonna… noi tre nipoti e lei.. ed allora lì… i panini, come dire si sprecavano… e la ciabatta enorme con la mortadella era una roba Laurè.. ma una roba.. (ti passerò la prova in privato)..
Ecco, il mio lunghissimo, come al solito, racconto di pezzo di vita.. ora sai come andavo al mare e come mangiavo in gita ed anche perché io la petizione te la firmerei anche due volte, sempre… perché quei sapori li… non si possono non mantenere … non possono non essere tramandati di generazione in generazione… come i nomi…
Comunque tuo marito così mi fa meno paura! ahahaha…
ti abbraccio fortissimo…
Manù.
Ecco Manù, lo sapevo che mi avresti capita: i nomi sono sacrosanti e anche certe ricette!
Ad ogni modo Manù tu mi confermi che c’era un disegno divino sul perché misterioso della pizza rossa quadrata e ripiegata, mentre la bianca era sempre tonda e panosa. Io mi sto ancora chiedendo perché!
E poi la ciabatta con la mortadella dopo il bagno al mare è sicuramente più buona, perché c’è il contrasto della salsedine ancora sulle labbra!
Allora Manù visto che tu sei socia onoraria di questo blog che viene integrato dai tuoi racconti di vita che sembra una sonata a quattro mani, io proporrei prima o poi di parlare seriamente anche della santa cotoletta!
Perché questa poveretta vive sotto banco, e sicuramente ancora, ma il fatto è che nessuno ne parla!!!Forse per il problema di immagine che affligge noi moderni e cioè che non è abbastanza fotogenica per i nostri occhi abituati a frizzi e lazzi inutili, soprattutto nella fotografia di food!
La prossima volta ci dirigeremo verso ciò che tutti schivano e almeno io avrò la beata ‘illusione’ di percorrere una strada meno battuta!
Ti abbraccio Manù forte forte come tu sai!
Ciao Laura ho provato i paperini e devo dire che sono davvero buoni. Questa sera avevamo voglia di panini con la mortadella col pane vero no la fuffa. E allora mi sono detta: è l’occasione buona per seguire la ricetta di Laura dei paperini di via Muzi a Pescara. Successone! Grazie per i consigli, la chiarezza nello spiegare le ricette e la bellezza del tuo scrivere le vicende di tutti i giorni; appare tutto più bello leggendo le tue righe. Sono abruzzese per cui tuoi racconti, le descrizioni e i sapori mi arrivano toccando e muovendo dei sentimenti profondi. Complimenti Laura per il tuo blog che è davvero bello. Continuerò a seguirti perché il tuo essere genuino ma al tempo stesso attento e ricercato mi piace.
Ciao Elvira!Mi sono accorta solo ora del tuo messaggio e mi dispiace visto che da conterranea mi dici che sei riuscita a respirare esattamente l’aria pescarese di questi pani 😀 Sono felicissima ti piaccia questo spazio e sono ancor più contenta del fitto scambio che ci appassiona sulle storie di pane!Grazie mille!