“Io – dicono – quando parlo, romanzo…”

"Io - dicono - quando parlo, romanzo…"

“Io, dicono, quando parlo, romanzo …” ma non sono io a romanzare la storia che ad ogni viaggio, e in ogni estate, si racconta da sola. E si carica di sentimento e di epos. E, a dirla tutta, anche un po’ di pathos: ad ogni guasto del nostro caro e vecchio motoroom, che in genere ci abbandona senza preavviso e, preferibilmente, in terra straniera come da sempre dal giorno in cui lo acquistammo.
Al tempo della nostra infatuazione per certi mezzi di trasporto, si trattò di una di quelle scelte più o meno obbligate: quando è preferibile essere ‘economici’ e ‘boemiens’ più per necessità che per ‘modestia’.
E così  questa storia che comincia con la rottura di un cambio che non ingrana più le marce, al momento dovuto, pur somigliando a tutte quelle storie che cominciano male, per me non smette mai di essere la più bella storia d’estate che vale sempre la pena di essere raccontata, soprattutto quando parla di Grecia.
E allora eccoci sbarcati a Patrasso, alla volta del nostro amatissimo Peloponneso con la sensazione di aver attraversato il mare a bordo di una nave fantasma. Il terrorismo mediatico sulla situazione economica della Grecia, è riuscito nell’intento di lasciare per questa estate la ‘Grecia ai greci’ meno che per noi, inguaribili dal mal d’amore nei confronti del nostro popolo preferito.
Siamo gli unici italiani a bordo. Sul ponte un turco o forse due. Pochi i tedeschi e quasi quasi ‘cautamente’ mimetizzati da francesi, come parchi del distintivo verbo d’Alemagna. Quanto al resto della popolazione navigante, tutta greca. Equipaggio compreso. Inutile dire quanto mi piaccia l’idea di una maggioranza greca, almeno in mare aperto e a dispetto dello stato di minorità che per mesi la società ‘civile’ di un’Europa inutilmente unita ha sventolato alle nazioni.
A bordo prendiamo a sentirci già in Grecia e a nostro modo anche un po’ greci: mangiamo koriatica, beviamo retzina e parliamo già un po’ di greco all’occorrenza. Poi studiamo prossimi itinerari e decidiamo una destinazione, ad esempio la Messenia.
Si tratta del ‘primo dito’ di quella mano informe che è il Peloponneso.  È sempre stata per noi una terra di passaggio forse perchè meno attraente della Laconia, forse perché poco godibile dalla terra ferma, meno che per quest’anno. Quest’anno infatti muniti del necessario per percorrere le vie del mare decidiamo di esplorare la costa ellenica alla conquista di qualunque insenatura o spiaggia rimasta inesplorata e che meriti di essere contemplata.
Puntiamo il dito sul golfo di Tsapi, i greci ci parlano di spiagge deserte raggiungibili solo via mare, paradisi incontaminati amati particolarmente dalle tartarughe.
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"Io - dicono - quando parlo, romanzo…"
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È a questo punto della storia che, in marcia costante verso la nostra meta e ad un ora dall’arrivo previsto, ci ritroviamo senza marce, senza cambio e con una salita poco adatta alla nostra situazione.
Ecco è questo l’inizio di una storia che comincia male e che, come tutte le storie che cominciano male, non promette di finire bene. Ma noi, siamo fortunatamente già in Grecia e i greci più volte ci hanno accolto e ospitato senza farci sentire mai ‘stranieri in terra straniera’.
E allora succede una di quelle cose che solo in Grecia può accadere e che se raccontata ai più, ‘potrebbe sembrare’ romanzo a meno che non si dica sin da subito che è una storia greca e quindi vera come solo in Grecia è possibile che una storia inverosimile  diventi il suo contrario.
Storia di un imprevisto in Grecia.
Eravamo appunto rimasti in salita, senza cambio, senza marce e senza più una meta. Ma anche senza una soluzione possibile e senza una cognizione precisa sul da farsi. Ecco che sul più bello della triste constatazione di tutti i ‘senza’ della nostra vicenda, arriva un greco.
E questo greco, presa in esame la situazione, ci dice che non può aiutarci ma che lo farà un altro greco, di cui ci offre il numero di telefono, e che a sua volta troverà un altro greco ancora  in grado di aiutarci.
A questo punto la storia prende la piega di uno strano oracolo delfico, ma noi che questo popolo abbiamo imparato a prenderlo sul serio, ci atteniamo alle istruzioni da seguire e al loro ordine in sequenza. Chiamiamo il secondo greco, che è greco pur chiamandosi Mario e pur parlando molto bene l’italiano.
Gli spieghiamo che abbiamo un problema e che un greco di passaggio di cui non conosciamo neanche il nome ci ha assicurato che lui, compreso il problema, avrebbe trovato il modo di aiutarci. E lui lo fa. Chiama per noi un altro greco, il terzo della storia, che ci aiuterà anche se ormai è tardi e troppo buio per riparare il guasto. Ci mettiamo in attesa chiedendoci se questa tarantella ellenica servirà a toglierci dalla strada. Ci chiediamo se veramente arriverà mai qualcuno per noi, se ci sarà un terzo greco disposto a diventare l’anello mancante di questa curiosa catena umana di solidarietà ellenica.
E il terzo greco arriva. Infila metà corpo nel vano motore del nostro mezzo. Inserisce la seconda, a mano, e ci dice di seguirlo fino a casa sua nel suo bel paese che è in festa. Ci conforta, permettendoci di dormire nel parcheggio della sua officina… Un meccanico!!!
Io quando parlo dicono ‘romanzo’ ma chi può credere alla storia che comincia male, fino all’arrivo di un greco che ci mette in contatto con un altro greco che ce ne invierà un altro ancora e che si metterà a nostra disposizione come fossimo degli ospiti speciali?
Perché certo che nel mio paese questa ‘rete’ esiste e questo modo di ‘raccomandarsi’ agli altri pure, ma solo quando gli altri si conoscono già e soprattutto se c’è un tornaconto eventuale. E invece i greci mi ricordano ogni volta che c’è un altro modo di ‘creare sistema’ tra le persone che è gratuito, che si chiama accoglienza e, soprattutto, che non chiede nulla in cambio.
Ripartiamo felici l’indomani mattina, con una vacanza ancora da vivere e ad un’ora di cammino da Tsapi, rinnegando tutti gli improperi lanciati contro il nostro vecchio caro motoroom : diciamo a noi stessi e a lui che è andata bene anche questa volta e che la vita da boemiens in fondo in fondo ci piace.
Arriviamo a destinazione, fronte mare e sotto un albero di carrube che quando cadono schioccano come noci di cocco. Ci piace tutto, tutto è Grecia: l’odore di cannella nell’aria, i muretti bianco calce e il blu mare ellenico tutto per noi.
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Sul mare.
È a questo punto della storia che, da terrenauti, ci trasformiamo in naviganti alla volta delle spiagge non raggiungibili dalla strada e delle isole deserte davanti al nostro golfo.
Bella la sensazione di conquistare un’isola deserta con un piccolo gozzo e di essere i soli e unici abitanti di tanta bellezza.
Pinneggiare diventa una costante che si sostituisce con una maggiore frequenza al camminare e così giorno dopo giorno mi convinco di essere ormai diventata un pesce. Possibilmente diamantino, di quelli che la luce del sole rende trasparenti quando si allontanano. Quando carico i polmoni e sfido maggiori profondità per catturare carcasse di ricci variopinti, mi sento anche un po’ sirena, perché la verità è che mi piacerebbe essere il seducente compromesso tra una donna e una creatura acquatica.
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Ecco proprio ‘acquatica’, come dissi di essere a mio marito prima di sposarlo, per fare colpo su di lui. Peccato che a quel tempo non sapessi ancora nuotare! Ma la verità è che Lui mi ha creduto lo stesso, anche perché io ‘acquatica’, mi ci sentivo già.
E oggi, infatti, quando mi inabisso con pinne da sirena, provo a recuperare tutto il mare non goduto mai abbastanza, con la stessa ingordigia di chi anche quando è sazio un posto per il gelato lo trova sempre.
Quando guardo giù il mondo  alla rovescia dell’acqua, mi chiedo sempre quando succederà che l’uomo penserà di poter colonizzare anche gli abissi, oltre che Marte. E mi auguro che questo avvenga il più tardi possibile per ritrovare sempre il mondo ovattato di questa bella dimensione ‘acquatica’. Appunto, ‘acquatica’ come me.
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Marathoni e le tartarughe
Quando arriva l’occasione mai vissuta, di dormire sulla spiaggia deserta di Marathoni, un pò di paura c’è. Forse la paura del buio, forse la paura di addormentarmi senza sapere quanto sperduta sono in un luogo sperduto. Penso che qui neanche lo sceriffo mi troverebbe. Anzi lui sarebbe felice di darmi per dispersa: occuperebbe il marciapiede di sua competenza issando una bandiera col logo del suo baffo e l’anno prossimo imporrebbe una tassa sul pedaggio o sulla sosta con tanto di strisce blu e parchimetro a minuto.
E io, intanto, resto sperduta su una spiaggia sperduta.
Arriva allora il momento in cui rimpiango l’incoscienza dei diciott’anni, finché non penso di affidare un pò dei miei timori alla luna piena, sopra le nostre teste. Eventualmente – penso – c’è tutta una letteratura da ripassare su poeti e personaggi di vario tipo, che sentendosi smarriti hanno pensato bene di interrogarla, la Luna.
Magari potrei farlo anch’io. E lei, che in genere è silenziosa sempre, per me fa un’eccezione e con la sua bella luce calda, schiarisce il buio della notte buia.
Così, nel tepore di un sacco a pelo sulla sabbia, inganniamo l’attesa delle tartarughe con le chiacchiere più spensieratamente adolescenziali adatte ad una situazione del genere. Ad un certo punto prima di addormentarmi mi accorgo che il cielo stellato sopra di me non è del tutto fermo, anzi è in movimento lento da sinistra verso destra. L’unica che non si muove sono io. Forse, dormo già.
E ferma come un punto fermo mi ritrovo il mattino seguente.
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Le tartarughe invece no, loro sono arrivate e ripartite lasciando traccia del loro passaggio proprio accanto a noi. Hanno deposto le uova in buche profonde che segnaliamo con dei bastoncini, per i futuri visitatori che arriveranno dal mare.
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Bagni e ancora bagni che mi ricordano lo ‘scandalo’ anni ottanta di un film, intitolato ‘Laguna blu’ con una Bruke Shilze in splendida forma e con delle extension nei capelli da sembrare una perfetta indigena. Peccato non avere quei capelli, mi sentirei perfetta anch’io sulla mia spiaggia deserta. E siccome non posso improvvisarmi indigena, mi accontento di rimettermi le pinne da pesce e faccio la sirena, perchè ormai sono entrata nel personaggio. E nuoto nuoto finché le mie mani da umana non si rigano e allora basta: il coro di nonne e zie, sepolto nella memoria dell’infanzia, grida l’allarme che è arrivato il momento di uscire dall’acqua, altrimenti le mani ‘cascano’.
E allora esco dall’acqua, che una sirena con le mani monche è una creatura troppo insolita che neanche Omero ha mai descritto.
Saliamo sul piccolo tender delle nostre fughe in mare aperto e torniamo sul nostro lido sotto l’albero di carrube.
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“Il mare stanca”
“Il mare stanca” ha sempre detto mia nonna Irma e per tirarti su riempiva un bel bicchiere di granita al caffè.
A me invece il mare, quando faccio la sirena, mette una gran fame.
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"Io - dicono - quando parlo, romanzo…"
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Fame di cose buone, tipo formaggio di capra arrostito, verdure stufate e tanto tzatziki denso e carico di cetrioli da sembrare quasi quasi un’insalata russa come quello che ho assaggiato in questa regione.
La regola è che si mangia finché si ha fame, perché tanto nel pomeriggio si torna nuovamente in alto mare a caccia di nuovi orizzonti.
No, il mare non stanca, è la terra che stanca. Perché quando scendi da un’imbarcazione dopo tante ore di navigazione, continui ad ondeggiare anche se sei già sulla terra ferma. Anche se sei sulle tue gambe immobili e l’unico modo di fermarsi è rientrare in acqua e riprendere a galleggiare come quelle boe che funzionano da ormeggi per le piccole imbarcazioni o, tuttalpiù, come quelle donne greche che somigliano a delle boe, quando escono dall’acqua solo con la testa, anzi con un cappellone calato sugli occhi che non sai mai che faccia c’hanno.
Io ad esempio quando non faccio la sirena, faccio la donna greca e mi calo anch’io un cappellone sugli occhi e faccio la boa per ore e ore fino al tramonto. O almeno fino a che le mani non si rigano perché sennò le mani ‘cascano’ e una greca con le mani monche Omero non l’ha mai descritta.
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L’isola di Schiza
L’isola di Schiza davanti al nostro lido, è ammiccante. Forse non è deserta come dicono, forse è abitata da una sirena vera e propria, che ci chiama col bel canto. Sprovvisti di tappi di cera, cediamo al richiamo spingendoci in mare aperto ed ecco che una pinna ci accompagna. O ci insegue? Si tratterà di un delfino o di uno squalo?I riflessi di sole sull’acqua e i giochi di colore non ci aiutano a indovinare quale situazione ci sta riservando il nostro mare.
Cerchiamo allora un’insenatura riparata così  io torno a fare la sirena, gioco con le stelle marine e assaggio ricci di mare.
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L’isola è deserta, se non fosse per le capre che ci inseguono curiose, anche perché sull’isola, per loro, non succede mai nulla di nuovo. Ci rimettiamo in movimento interessati a percorrerne il periplo ed ecco una insenatura più profonda. Anche qui : stesso paesaggio, stesse capre se non fosse per dei paletti che spuntano fuori dall’acqua come a segnalare una vasca di coltivazione per pesci da allevamento. Ci avviciniamo e scopriamo di essere un puntino minuscolo sopra la pancia di un relitto gigante. L’impressione è forte e io decido che questa paura non la voglio vincere, per questa volta passo e appendo le pinne al chiodo.
Poi però la sirena che ormai è in me si ribella, così ecco che con pinne e boccaglio mi ritrovo in acqua, raggiungo il marito che conserva egregiamente il dono dell’incoscienza dei famosi diciotto anni e mi attacco al suo fianco più come una cozza che come una sinuosa sirena.
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Tutto quello che vedo è impressionante, la nave sembra un mercantile abbattuto dall’alto, forse bombardata durante la seconda guerra: si presenta con la prua separata dal resto del corpo come se una forte esplosione avesse ferito le lamiere accartocciandole come fogli di carta, sparsi nel raggio di decine di metri.
Ecco decido che ho fatto la mia parte, usando una curiosità che proprio non pensavo di avere. Quando risaliamo sulla nostra imbarcazione il cuore mi batte ancora forte, troppe emozioni tutte insieme così mi addormento e perdo gran parte del giro dell’isola.
La sera ci tratteniamo nella nostra taverna e, chiacchierando con i locali, scopriamo che il tratto di mare visitato è un parco storico di relitti di epoche diverse. E che tutto in quel mare si conserva, perché l’isola è tagliata fuori dalle rotte marittime ed è per questo motivo che è così deserta. Tanto deserta, che un provvedimento greco ha deciso di popolarla di capre, deportandone un pò dal continente. Scopriamo tutte queste cose troppo tardi, i giorni di vacanza sono al termine e con la miscela rimasta possiamo giusto arrivare nella spiaggetta attigua al nostro lido. Si tratta di un’insenatura abitata da due turisti più spartani di noi che fanno i nudisti più per strategia che per vocazione. Ci spiegano che spogliarsi tiene a distanza i perbenisti, e in un certo senso la loro scelta mi fa riflettere: usare la nudità per allontanare gli invasori, e gli indigesti in genere, è una soluzione a cui non ho mai pensato.
E allora ci penso: potrebbe essermi utile nella folla della metro B?
Forse no. Perché tanto nella metro B ‘laggente’ si attacca anche quando porto il cappotto, figuriamoci se mi improvviso nudista. Lascio perdere questa idea bislacca, che in questa vacanza mi sono già improvvisata in troppi personaggi tutti insieme e non sono pronta a fare anche ‘nudista’.
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(Ri)partire.
Non è mai bello partire per ‘tornare’, tranne quando ‘si torna in Grecia’.
Comunque noi quando partiamo per tornare in una casa che non è Grecia, siamo sempre molto tristi. Anzi depressi. Depressi su un lettino da spiaggia, in un campeggio vero, in cui passare l’ultima notte. Di quei campeggi dove ci sono gli austriaci e gli olandesi stanziali.
Io me lo chiedo sempre: “Perché gli olandesi e gli austriaci sono stanziali e non sono mobili come il cielo stellato che è passato sopra di me, da sinistra verso destra, sulla spiaggia di Marathoni?”
E mi chiedo ancora: “Perché si stanziano sullo stesso mare, sullo stesso lettino dello stesso campeggio di sempre come degli abitué?”
Per noi è diverso. Perché noi sul lettino ci stendiamo quando siamo depressi e ci restiamo stanziati per ore e ore da sembrare anche noi un po’ olandesi e un po’ austriaci.
E guardiamo il mare che ci manca già e che si è ripreso, prima del tempo, le mie branchie e soprattutto la bella pinna da sirena.
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Questa notte però credo di aver pinneggiato lo stesso, mentre dormivo. E infatti Lui questa mattina mentre mi offriva un profumato caffè già italiano, mi ha chiesto cosa stessi sognando a causa dei molti calci ricevuti. E io gli ho risposto che sognavo di essere ‘ancora’ una sirena.
Ma non penso mi abbia creduto, perché io – dicono – quando parlo ‘romanzo’ e non so mai dove dove va parare la storia, quando è una storia greca.
La partenza diventa vera quando arriviamo a Patrasso. Fa caldo, ma i capelli sono ancora bagnati dell’acqua dell’ultimo bagno ‘da umana’.
Per far passare il tempo, mi allungo sul letto in coda e sollevo gambe e piedi perché mia madre dice che fa bene alla circolazione. Da questa posizione mi compiaccio di essere molto abbronzata, allora prendo a fotografarmi i piedi e anche le gambe che così levigate me le voglio ricordare per quando sarò vecchia.
Non penso pubblicherò mai la foto dei miei piedi, che già il web è pieno di piedi, soprattutto d’estate. Si avvistano piedi nei sandali, piedi a bordo piscina, piedi dopo il pedicure e, ahimè, anche prima!
Veramente dei piedi a pelo d’acqua li ho fotografati anch’io.
Ma non sono i miei. Sono i piedi della nostra Giulietta, che non ha belli solo i piedi, ma anche le gambe lunghe, gli addominali e i capelli mossi come quelli di Bruke Shilze quando fa l’indigena perfetta.
Mi è già capitato di fotografare Giulietta. Anzi le sue mani da bambina. Le ho sistemato i capelli mossi da un lato, poi le ho messo un bel mazzo di carrube in mano e le ho detto di restare ferma. Lei mi ha sorriso ma tanto è stato inutile, perché nella foto sono entrate solo le sue mani.
Le ho detto di non prendersela che le foodblogger in genere sono delle ‘taglia teste’ e fotografano solo piedi d’estate e mani ‘quattro stagioni’.
Anche se io delle volte faccio un’eccezione e la mia testa non la decapito frequentemente. E neanche quando esco con gli occhi chiusi o sfocata. Anzi quando non esco sfocata, per la verità, mi sfoco da sola con Photoshop che spiana le rughe meglio del collagene e dell’acido ialuronico insieme.
Quando saliamo in nave, il mare è lontano anche se ce lo ritroviamo tutto intorno. L’aria condizionata sparata a palla fa l’estate remota, anche se fuori c’è un sole che come diceva mio nonno “spacca le pietre”.
Faccio un po’ di previsioni sul rientro: ci diranno tutti che siamo abbronzatissimi e che come abbronza il sole greco non fa quello Italiano. Ma tanto noi questo non possiamo dirlo, che ci abbronziamo sempre in Grecia. Allora o alzeremo le spalle o diremo “si” con la testa. Così, per educazione. Per non scontentare nessuno.
Prevedo anche altro: ad esempio, chi crederà alla storia dei tre greci in fila per uno, col resto di una storia che finisce bene, anche se è una storia cominciata male come tutte le storie che cominciano male e finiscono male?
E chi crederà che sono stata una sirena e poi una greca col cappello calato sugli occhi che fa la boa?
E che ho conquistato un’isola che era deserta e poi si è popolata di capre deportate?Ci crederà qualcuno?”Mi crederà qualcuno?”
E che su quell’isola ho nuotato proprio sopra un relitto, affondato durante la seconda guerra?Chi ci crederà?
Mio padre ad esempio non ci crederà subito ma quando ci crederà si arrabbierà ‘subitissimo’. E mi dirà che queste cose si fanno con “l’incoscienza dei diciott’anni” perché non sa che io, anche senza quell’incoscienza lì, sono riuscita comunque a dormire su una spiaggia deserta come un indigena quasi perfetta anche senza le estention di Bruke Shilze.
Ecco cosa prevedo, che non mi crederà nessuno. Meglio, allora, lasciar perdere. Meglio stare zitta come un pesce, che quello ormai so farlo già, anche senza le branchie e le pinne.
Magari la scrivo, questa storia.
E poi la pubblico. Sul blog. E prima di pubblicare non rivedrò i verbi e lascerò l’uso del presente, anche se io sarò tornata da un pezzo. Si tratterà di un ‘presente storico’ quello che la mia prof di latino diceva “perfetto per far rivivere il passato in un tempo costantemente presente”.
E una volta sul blog, chi leggerà potrà fare quello che vuole di questa storia. Anzi no, potrà  scegliere fra tre possibilità che sono l’ interscambio di due: non leggermi affatto, leggermi e non credermi, leggermi e credere ad ogni singola parola, anche se non l’ha scritta Omero ma io, che tanto “quando parlo – dicono – romanzo”.
A questi ultimi lettori-“creditori” insieme, mi piacerebbe dedicare una frase ad effetto, tipo quella usata da Salvatores nel bel film intitolato “Mediterraneo” e che (guarda un pò?) parla di Grecia e di tante altre belle cose.
Ecco se non l’avesse già usata lui quella frase lì, la userei volentieri io e scriverei: “Dedicato a tutti quelli che stanno scappando”.
Ecco cosa dedicherei a chi mi legge e mi crede. E augurerei si, di scappare, ma di farlo da professionisti e non da boemiens, che se malauguratamente si rompe qualcosa e si resta per strada bisognerà aspettare che passi un greco, telefonare ad un secondo greco e fidarsi di un terzo che tanto prima o poi arriverà.
A questo punto, la storia sarà quella di sempre, quella delle storie che cominciano male e che potrebbero finire male a meno che non si stia scappando in Grecia. E in questo caso, a me non resterebbe che dire “kalo taxidy”!
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18 thoughts on ““Io – dicono – quando parlo, romanzo…”

  • Sapevo che questo post sarebbe arrivato prima o poi e stasera, dopo una giornata di studio in cui alternavo il “si, ce la posso fare” a drammatici “no, sono un disastro”, è stato un balsamo. L’anno scorso, in questo periodo, ti raccontavo di quanto vorrei andare in Grecia e facevo progetti per lo scorso maggio. Purtroppo per il momento il viaggio rimane ancora un sogno, ma a questo punto rinnovo il mio auspicio e spero nel prossimo anno!
    Io ho creduto ad ogni singola tua parola, ma forse non faccio testo visto che credo sempre a tutto quel che mi si racconta, favole incluse 😉 Ti immagino bene nelle vesti di una sirenetta, bella come il sole e vivace come una ragazzina. Sento le risate, il rumore dell’acqua che si muove sotto la tua pinna scattante e il mare che rende tutto ancor più bello. L’incoscienza dei 18 anni fa bene e dovrei ricordarmelo più spesso, ma per questo ci sei tu 😉
    Bentornata Laura e grazie per avermi fatto assaporare la tua favola. Stanotte dormirò con un bel sorriso sul volto ed è tutto merito tuo! Un bacio e un abbraccio grandi e buona notte!

  • Ma oggi che giorno è? Perché a me presente o no pare che sia la domenica che aspettavo da parecchi sabato, che poi sembra sempre sabato perché io sono ancora in vacanza e per di più in Grecia dove ogni giorno può essere sabato o domenica o chi lo sa. Ti immagino sirena esploratrice e penso a me, che pure amo fare la sirena,mentre insieme al fondale amo guardare l’ombra dei miei capelli che fluttuano e dei piedi che unisco a mo di coda. Acquatica, esploratrice, romanziera e amante della Grecia…io credo a tutto, amo tutto e ti aspettavo più di un sabato qualunque perché in attesa di una lettura che compensasse il libro sbagliato che ho portato con me e che continuo a leggere più per tenacia che per passione. Avevo bisogno del Gambero Russo, di un racconto omerico e della mia Laura che torna splendente d’ambra e profumata di acqua salmastra e cristallina. Bentornata.

  • TI ho creduto dalla prima lettera all’ultima rughetta delle mani che hanno passato troppe ore in acqua. Mi sono tuffata in ogni tua singola emozione, nemmeno le avessi vissute io stessa … o forse l’ho fatto in altri tempi e altri paesaggi!
    Come ogni tua storia finisco per avere il cuore in gola, una gioia inspiegabile per quello che accadrà oggi … e una voglia irrefrenabile di darti un forte abbraccio … mi sei mancata, e il perché non serve dirlo!!!

  • Virginia
    Bella Virginia, no io invece non ci credo proprio ‘che tu sia un disastro’ anzi, io sono sicura che ce la farai, mi raccomando!!!;-) quanto a me c’è una storia che si ripete tutte le estati e che si verifica sempre in Grecia e che non so mai tacere 😀 che ‘devo’ raccontare anche a costo di sembrare ripetitiva :-D. Mi ricordavo del tuo desiderio che spero potrai accontentare quanto prima, la Grecia può stregare e io per incoraggiare il tuo desiderio di approdo ti dirò che al tempo del mio primo viaggio ne sono seguiti altri due in terra ellenica a distanza di pochi mesi!!!
    Quanto all’incoscienza dei diciotto bisognerebbe scrivere una dissertazione a parte… io sicuramente ho avuto diciott’anni ma quell’incoscienza lì è durata pochissimo e delle volte stento a ricordarne gli effetti ma sono sicura che il piacere è simile a quello del diventare sirena!;-) Ti abbraccio forte forte e ti ringrazio per le belle parole che hanno funzionato come quel ‘balsamo’ speciale a cui facevi riferimento anche tu ;-D

  • Francesca Caprino
    La verità è che sbarcata ad Ancona ormai al rientro e con il cuore già gonfio di nostalgia, mi hai strappato un sorrisone gigante perché il quel momento c’era qualcuno che partiva e che urlava ‘Cefalonia’ a squarciagola!! Hai presente???:-D
    Ecco, che voglia di ripartire e di imbucarmi in macchina con voi che mi hai fatto venire!!! E allora ecco come il mio ‘kalo taxidi’ sulla bandiera si è trasformato da dedica postdatata per i miei lettori ‘creditori’, in un saluto speciale per te!Sono felice di saperti ancora nel blu e una raccomandazione… pinneggia più che puoi e un altro po’ anche per me, non sai quanto mi manca il mio travestimento!

  • Martina
    Martina cara e come se non ti ho pensata anch’io… ho dovuto confessarlo anche a mio marito quando mi ha scoperto nella mia valigia qualche ratafià di troppo!;-)Ma per questo ci sentiremo presto mia cara! 😀 Mi piace sapere che ti è piaciuto seguirmi tra le righe come tra le onde… commenti come il tuo anche fanno sentire il cuore in gola 😀 Grazie!!!!

    Gerburg
    Grazie Gerburg!!!Il tuo commento ‘corto’ mi ha strappato un sorriso luuuunnnngooo lungo lungo!Ti abbraccio!

  • “io -dicono- quando leggo (te) sogno”
    e stavolta sogno di scappare, e magari stavolta scapperò per davvero..
    e magari proprio in Grecia.
    perché molto spesso, la fuga è una salvezza. anche quando parti su un motoroom vintage che ti si rompe in salita, trovi tre Greci che mettono in piedi una salvifica catena e ti salvano.
    voi Russi mi piacete tanto, ma voi Russi in Grecia mi piacete -se possibile- ancora di più!

  • Barbara
    Barbara cara sappi allora che noi Russi facciamo un gran tifo per la tua intenzione di fuga e, soprattutto, perché il vostro prossimo approdo sia in terra greca! 😀 Perché io – dicono – quando faccio previsioni in genere ‘si realizzano’ … e puoi credermi come oggi ormai mi crede il marito ‘russo’ che all’origine non si capacitava del potere profetico del mio sangue abruzzese! 😀 E sappi anche che al momento opportuno, noi Russi saremo pronti a suggerire mete e metodi di fuga, non appena deciderai di salpare e perderti in mare aperto! Un bacio enorme! 😀

  • Laura cara, bentornata. Senti qua che avventura! La storia dei tre greci è da pazzi, meno male si è risolto tutto! Ci piace questa solidarietà ellenica. Mentre leggevo mi immaginavo le scene del primo greco che chiama un altro greco e poi arriva un terzo greco. Scene da film.
    Adoro la Grecia. Ho visitato solo due isole, ma l’intenzione è di visitarne ancora. Quest’anno avrei voluto spingermi verso Zante, ma ho dovuto cedere a compromessi e sono andata in Croazia. 😉 Guardando le tue foto raffiorano ricordi di lunghissimi bagni in acqua, di mani aggrinzite e della gran fame che mi veniva subito dopo. Di rotoli di pasta fillo ripieni di polpo e verdure, di pomodori e peperoni ripieni di feta, di suvlaki mangiati in qualche baracchino sperduto. La sera poi mi incantavo a vedere le stelle. Tante stelle come in Grecia non ne ho mai viste. Sdraiarsi e guardare in alto senza cognizione di tempo. Laura, mi hai fatto venire una gran voglia di tornare in Grecia. Allora esiste il mal di grecia, perchè ogni anno è la stessa storia, penso a quando ci tornerò.
    Grazie per questo post!

  • Ciaooooo 🙂
    Che belle fotografie! 🙂
    Dormire sulla spiaggia e fare la sirena per tutto il giorno …. finche’ inizia a brontolare lo stomaco :D… questo si’ che e’ un sogno! Un sogno trasformato in una storia, una scappatella in un angolo silenzioso e bellissimo che poi ti ritorna nei sogni adesso, domani e ancora molto tempo finquando un’altra scappatella inizia a prender forma, prima come un’idea vaga e poi come una certezza.
    E poi perche’ non fare la nudista nel metro oppure perche’ non stare con le gambe sollevate? – amo stare con le gambe all’insu’, e’ una posizione talmente rilassante, ecco magari con le gambe appoggiate al tuo albero di carrube ascoltando il tonfo che fanno quando cadono terra – basta chiudere gli occhi nel metro e ti vedrai gia’ sotto l’acqua con i pesci e i ricci, i rumori della metro trasformandosi nel rumore delle onde :D…. Come sarebbe bello, no?:)
    Ho letto tutto da capo a coda e sono sicura che questa volta non aspettavi me :D, ma e’ giusto che sia cosi’…. questi ricordi riescono a cancellare tutto, a rilassare la memoria come anche gambe e mani che poi si muovono solo nel sonno cercando ancora quelle posizioni cosi’ rilassanti che non ritrovano piu’! 🙂
    E poi una scappatella e’ sempre una scappatella… non si riesce a organizzarla piu’ di tanto e, forse per questo, e’ ancora piu’ misteriosa e bella, rimane tutto da scoprire! 🙂
    Io ho letto tutto e ho fatto tante risate, risaate sane, s’intende :D!!!
    Un abbraccio e una bellissima settimana con i piedi all’insu’! 😀
    Ulica 🙂

  • Francesca
    Cara mia cosa mi hai ricordato…una cosa di cui mi dimentico sempre: le stelle!!!Bello osservarle ogni sera dopo cena, sulla sabbia, bisbigliando desideri che chissà quando si avvereranno!E in effetti farlo in Grecia per me ha sempre un sapore diverso 😀 E si, io penso esista il mal di Grecia: io ad esempio ne soffro da dieci anni e ricordo benissimo che il mio primo anno sono tornata in Grecia per ben tre volte volte!!!E no non mi stanco mai e anzi ogni anno che passa ho voglia di visitarne un pezzetto in più 😀 Ti auguro di tornarci il prima possibile!;-)

  • Ulica
    Ulica ciaooo!!!E invece no, ti aspettavo e il fatto che tu abbia letto tutto tutto dall’inizio fino alla fine non sai quanto mi faccia piacere!!!Perché io questa storia ho voluto raccontarla per quelle persone che potevano veramente apprezzarne lo spirito 😀 anzi, in realtà sono commenti come il tuo che mi incoraggiano e mi regalano un po’ d’audacia a non lesinare sulle parole, per cui cara grazie a te!
    Quanto alle gambe all’insù è un buon modo di rimirarsi da un rilassante punto di vista 😀 Anche se, ti dirò, in metro B si salva chi resta in piedi o si sveglia all’alba quando i vagoni sono ancora poco affollati… ma proverò comunque a prendere in considerazione la pratica nudista… più che in metro potrei sfilare così davanti la vetrine dello sceriffo, così… per vedere se scatta una gara… competitivo com’è!;-) Ti mando un bacio grande grande!

  • Elisabetta
    Ciao Elisabetta 😀 è vero l’anima resta là… che è uno dei motivi per cui è necessario tornare e tornare per ritrovarla 😉 Ti abbraccio forte, sono contenta tu sia passata di qua, grazie a te!

  • Infatti così ci torni e non ti basta mai… Che nostalgia! È bello che siete andati in una zona meno bazzicata e meno , tra virgolette, da cartolina… Vi siete fatti la vostra personalissima scrittura attiva di immagini suoni profumi storie visioni e vicende e davvero, io son qui giunta per caso, non certo una foodblogger sono né altro (anche se mi sono segnata il blog per curiosare al riguardo complimenti per la tua altra complementarità passione!) ma mi hai trasmesso magia.
    Ecco, forse anch’io, in qualche modo, da qualche parte, sono tornata. 😉
    Grazie, a presto perché rivengo eh! Elisabtta

  • Elisabetta
    …e io sono contenta che tu ‘da qualche altra parte sia tornata’ e che sia approdata proprio qui: perché i tuoi complimenti mi sono graditi particolarmente sapendo che non sono quelli di una foodblogger ma di una ‘Lettrice’ 😀
    Ti aspetto!

  • Ma che cara che sei :), il web non mi è mancato per niente in questi anni… Per niente… Soprattutto il suo lato ‘sociale’… Tutto troppo aggressivo… Passivamente invadente… Ma è stato bello vedere che in una ricerca a caso sui viaggi (fisici e mentali).. Alla fine son venuta qui da te, per due passi mi hai portata al centro e agli albori di ogni civiltà.. Dove si può essere nessuno e avere a disposizione il tutto… Timidamente ti tengo stretta. A presto, Eli.

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