Se si desidera che un panino qualunque sia l’occasione trasgressiva per consumare un pasto sul divano, piuttosto che dietro un tavolo e magari sostituendo del tutto la tovaglia con il tepore di un plaid da pomeriggio piovoso, bisogna partire da un’inevitabile premessa: intanto fare un pane.
Fare un pane è meglio che comprarlo, o almeno lo è per me e in questa fase della mia vita da quando, di pari passo a una certa maturità, cresce e si fa spazio un inspiegabile controllo per tutto ciò che si mangia, anche distrattamente, purché ‘fatto in casa’.
“Fare in casa. Sarà anche questa una questione di ormoni”? Me lo chiedo da quando ultimamente la mia dottoressa fa di una questione ‘ormonale’, tutte le questioni che mi capitano e che le racconto.
Ma in ogni caso resta il fatto, ormonale o meno, che almeno per me è bene “intanto fare un pane”.
E ultimamente proprio quando penso al pane, alla fine mi ritrovo sempre a sfornare una delle infinite varianti dello stesso pane e cioè quello danese.
Forse perché la sua maglia così stretta e compatta mi riporta al profumo saporito dei panini che Cinzia alle elementari mi faceva solo annusare, prima della ricreazione.
O forse perché la geometria perfetta delle sue fette mi ricordano la curiosità per i sandwich farciti, che i numerosi figli della famiglia Bradford potevano sbriciolare ovunque per casa.
Mia madre invece, non me l’avrebbe mai permesso: ché per mangiare sul divano o a letto era necessaria una febbre da cavallo e una infinita debolezza a mettersi in posizione eretta, ma in ogni caso né per ricompensa né per compassione si poteva richiedere un sandwich come quello della ‘famiglia Bradford’.
Ecco perché tutto sommato per me e in questa fase della mia vita, nonostante ‘tutto sia ormonale’, c’è anche ‘tutta una maturità’ utile a ribellarmi, almeno ogni tanto o almeno con un buon panino sul divano. Una bella occasione, insomma, per trasgredire un po’ anche se si è in perfetta salute e coscienti delle briciole che tanto, prima o poi, si raccoglieranno sul plaid piuttosto su che su una tovaglia, purché la premessa inevitabile sia sempre la stessa: intanto fare un pane.
Ricetta tratta e rielaborata da “Come si fa il pane” di Emmanuel Hadjiandreou
Questa volta mi ero ripromessa una certa ‘purezza’ di intenti e cioè senza stravaganze di ingredienti facoltativi. E poi non ci sono riuscita, forse perché una trasgressione inevitabilmente ne chiama un’altra ed è stato questo il caso delle albicocche essiccate.
Le albicocche disidratate in dispensa erano quelle avanzate dalla preparazione di un’arista di maiale per un caro amico, molto allergico alla cipolla e molto tollerante invece ai sapori agro dolci della frutta secca con la carne.
In questo caso ho pensato fossero perfette anche in un pane, su cui con una certa convinzione premeditavo già di spalmare della ricotta di capra e una zucca arrostita. Ma una zucca arrostita e condita come quella che mi ha servito Alessia, una sera a cena, e che posizionata per sbaglio proprio davanti al mio piatto, ha avuto i minuti contati.
Ingredienti (dosi per uno stampo da cake da 900 gr 22×11 cm):
Per il pre-fermento
- 150 g di farina di segale scura
- 100 g di lievito attivo (io, licoli)
- 200 g di acqua fredda
Per l’impasto finale
- 200 g di farina di segale scura
- 6 g di sale fino
- 150 g di acqua bollente
- 100 g di albicocche secche denocciolate, tagliate in piccoli pezzi
- 1-2 cucchiaini di pepe rosa, leggermente pestato
- semi di sesamo per la copertura
Procedimento:
- Sciogliete la pasta madre (licoli) in una ciotola con l’acqua e aggiungete la farina mescolando con un cucchiaio di legno.
- Lasciate riposare il pre-fermento nella ciotola per 8 ore o per tutta la notte, coperto con della pellicola trasparente.
- La mattina seguente (o dopo le 8 ore), in una piccola ciotola mescolate la farina di segale con il sale. Questi sono gli ingredienti secchi.
- Unite quindi gli ingredienti secchi al pre-fermento e aggiungete anche l’acqua calda e mescolate tutto con un cucchiaio di legno.
- Unite infine le albicocche e il pepe rosa e mescolate sempre con un cucchiaio di legno fino a quando non sarà tutto ben L’impasto risulterà molto morbido e appiccicoso, ma non vi preoccupate è normale.
- Con una spatola di plastica versate l’impasto nello stampo rettangolare da cake cercando di modellare e lisciare il bordo dell’impasto.
- Distribuire sulla superficie dell’impastouna generosa manciata di sesamo.
- Far lievitare per 2 ore. Sarà ben lievitato non appena la superficie del pane avrà raggiunto i bordi dello stampo.
- Preriscaldare il forno a 240°. Ponete a scaldare una teglia sul fondo del forno, e un’altra teglia, quella in cui poi metterete a cuocere il pane, nella parte centrale del forno. Riempite una tazza d’acqua e tenetela da parte.
- Vaporizzare con dell’acqua l’interno del forno e abbassare la temperatura a 220°C.
- Cuocere il pane per circa 30/40 minuti o finché la superficie non sarà diventata di un colore dorato. Il pane è pronto se colpendo il fondo del pane con un cucchiaio di legno suona a vuoto, se così non fosse, rimettetelo in forno per altri 10-15 minuti.
- Appena tolto dal forno far raffreddare il pane su una griglia.
che foto magnifiche.!!!!!!!!! Il pane? sento il profumo da qui
Lo assaggerai presto!;-)
Beh forse mi ripeto. O forse sono assillante, ma qui dentro (o è un fuori?!) trovo sempre tanta poesia, che sia fatta di parole, di intenti o di racconti fotografici. Che sia fatta di pane o di cromie che vorrei tanto fare mie…
Brava come ogni sempre
Grazie Debora, ma è solo una ‘questione di ormoni’ 🙂
Ciaooooo.
Sì, allineate. Perché anche io sotto questa neve o dentro questo gelo avevo bisogno di “maglia stretta e nordica”. E pure un po’ integrale.
Baci come se nevicasse <3
Appena ho visto il tuo pane lo sai bene a cosa ho pensato 😉 vogliamo pure stupirci di tanta sintonia? Ti abbraccio!
A casa nostra mangiare sul divano era consentito ma solo la domenica sera, quando mia mamma finalmente poteva riposarsi dalla cucina e a me e mio fratello, rigorosamente in tenuta da letto con i pantaloni del pigiama infilati nei calzettoni, era consentito di mangiare, addirittura davanti alla TV, un toast ben farcito su grandi vassoi di formica color legno.
Nelle serate più trasgressive era perfino concesso un bicchiere di Coca Cola vera (perché il più delle volte mia mamma, per risparmiare, comprava un’imitazione del supermercato che della tanto anelata bevanda gassata aveva evidentemente perduto la Coca, e infatti si chiamava solo Cola).
p.s. che poi mia mamma quei vassoi color legno ce li ha ancora, e a guardarli oggi a dirla tutta non erano poi così grandi..
;-*
Barbara bella hai raccontato uno spaccato che oggi si definirebbe ‘vintage’ e che per noi invece era l’unico modo di essere e stare bene in famiglia: sui divani per gentile concessione, coi pigiami in primissima serata sennò niente tv dopo cena, le sottilette fila e fondi un po’ dappertutto, come del resto la formica, e la coca cola centellinata meglio di un distillato e così tutto aveva più sapore!:-) Sempre siano benedette le famiglie di una volta! 🙂
(E la maglietta della salute infilata nelle mutande ❤️❤️❤️)
che sennò da grande soffri ai reni?…parliamone!:-D