Ci sono mille modi di cominciare una conversazione amichevole e fintamente disinteressata. Nel mio caso due parole in croce e una pausa di imbarazzo ci sono sempre: “Scusi, lei… (pausa)”
Nella precisa situazione il ‘lei’ in questione era più che altro un ‘lui’: gentile e imbarazzato; veramente anche sposato ma soprattutto pasticciere.
E proprio con ‘lui’ sono andata avanti per un po’ di tempo, con interesse malcelato: “Scusi lei (pausa…) ma il mosto c’è lo mette nell’impasto?”
E il giorno successivo: “Scusi lei (pausa…) ma le mandorle tritate, sono meglio della farina di mandorle?”
E ancora: “Scusi Lei, ma cioccolato a pezzi o solo cacao?”
E giorno dopo giorno direi di essere arrivata dritta al punto, appurando addirittura fino all’insospettabile: che i rossi d’uovo regalano più morbidezza degli albumi; che l’olio di semi può sostituirsi senza remore a quello d’oliva, come anche il lievito in polvere può dirsi meglio dell’ammoniaca.
L’argomento non ha mai mancato di rivolgersi solo ed esclusivamente ai di ‘lui’ pregiatissimi mostaccioli, per i quali in effetti ho frequentato lui e il suo forno per tutto il mese di agosto: non senza rischio di fraintendimento, se non avessi avuto ogni volta una domanda mirata ad un unico e ‘imperscrutabile’ interesse.
E infatti sono certa di aver ricominciato a dire al mio amabile amico fornaio “Buongiorno”, solo dopo aver estorto e ricomposto la lista di tutti gli ingredienti del caso.
Ma la verità è che indovinare da sola i dosaggi e la pratica della glassa così liscia e opaca, mi ha ricondotto presto dal pasticcere più corteggiato della mia estate.
Scusi Lei … (pausa), ma la glassa?
“Scusi Lei (Pausa…) ma della glassa, ne vogliamo parlare?”
Ed è solo all’ennesima domanda che prometteva di essere l’ultima, che posso dire di aver finalmente ricevuto l’invito a frequentarci più da vicino, addirittura nel suo laboratorio.
Quello che ho trovato nel retrobottega, oltre ad una moglie simpaticissima e prodiga di consigli, è stato cioccolato già fuso per l’occasione e non a bagnomaria, ma direttamente in pentola.
Interrogata sull’argomento sono stata immediatamente redarguita su tutte le convinzioni pregresse e maturate nel tempo, fino ad arrivare a scoprire che non esistono coperture possibili fatte solo di cioccolato fuso, come ‘facilmente’ si consiglia sul web.
E a dirla tutta, impossibili sarebbero anche le coperture di cioccolato fuso con altro genere di grassi: ad esempio burro, olio o panna. Lui per l’appunto, mi sorride e mi fa notare l’ovvio a cui non ho mai pensato: “Un grasso con un altro grasso rimane ‘grasso’. Ricopre ma non tira, né asciuga”
“Scusi (pausa anticipata), ma quindi Lei come fa?”
E – “Acqua finché il cioccolato ne prende” è stata la risposta.
Un’espressione che nei ricettari di cucina abruzzese ho spesso sentito dire a proposito di farina negli impasti: “Farina, tanta quanta l’impasto ne prende”
E se di acqua ne scappa di più e il cioccolato ‘straccia’ si spegne il fuoco per mettere il tutto, che si chiama ‘la madre di cioccolato’, a riposo e si riparte con la fusione della glassa ‘sbagliata’ insieme ad altro cioccolato e acqua finché i due non cominceranno ‘a (ri)prendersi’ come conviene.
Il segreto del cioccolato che si amalgama a perfezione solo con l’ingrediente giusto, mi è piaciuto come concetto di vita e di sicura relazione amorosa: se deve esserci fusione, questa chiede solo amalgama e partecipazione bilanciata degli elementi, niente di più niente di meno.
Ecco, ho comprato cioccolato, semplicemente perché l’acqua in genere c’è sempre, e ho cominciato a fondere la glassa ideale per qualunque preparazione ne meritasse una: ad esempio i parrozzetti, non sono stati secondi rispetto ai mostaccioli.
Dopo ‘Lui’, anche l’altro
Veramente per i parrozzetti quest’anno ho avuto bisogno di un altro ‘amico’ speciale.
Un altro ‘amico’ che non sapeva di diventare mio amico, un altro amico ‘sotto assedio’ a cui un giorno ho detto ancora una volta: “Scusi, lei (pausa) …ma è vero che nel suo negozio posso trovare teglie per torte bocconotto?”
Il pretesto anche questa volta era un dolce della mia tradizione, la vittima anche questa volta è stato un lui, affatto timido come quell’altro ma anzi molto divertito dal fatto che nel suo bazar di infiniti accessori e cianfrusaglie domestiche, fossi interessata ad una cosa sola.
Ci sono luoghi così adatti a perdersi e a non ritrovare più la via d’uscita, che se non fossi stata quel giorno in compagnia del mio inseparabile marito, quasi sicuramente oggi sarei ancora lì tra il reparto degli stampi d’alluminio e quello dei mestoli in legno.
Ad ogni modo è vero pure che ci sono venditori che ci sanno fare con le clienti, anche quelle come me dal cruccio ossessivo e impertinente. E in questo caso ho avuto il piacere di imbattermi in un personaggio divertente e appassionato capace di battere scontrini e contemporaneamente impartire dimostrazioni di cucina sull’utilizzo corretto di tutti gli accessori in vendita. Una vera risorsa per ogni tipologia di casalinga.
Arrivato il mio turno quello che è successo a me è stato più simile alla parte finale di una seduta psicanalitica spicciola, alla “dimmi di cosa hai bisogno e ti dirò chi sei”
E infatti: “Qui vedo tanta nostalgia…” – mi ha detto in modo serio mentre svuotava il cestino della mia spesa. E in effetti se non ci fosse stata nostalgia, quel giorno non avrei acquistato stampi di ogni genere per pupe, cavalli, bocconotti, mostaccioli, parrozzi e parrozzetti. Ecco soprattutto parrozzetti.
E con una ‘é’ stretta come una curva a gomito, che solo un lancianese sa stringere così bene, ha aggiunto: “… di dove séi?”
La verità è che non ho ancora capito bene come rispondere a questa domanda: perché se a Roma mi sembra naturale dire che sono abruzzese, in Abruzzo chi me lo chiede mi prende sempre un po’ alla sprovvista.
Poco importa “di dove sono”, la verità è che mi piacerebbe raccontargli di più cosa mangio per sapere cosa intuisce di me, nostalgia a parte. Mi piacerebbe raccontargli il mio rapporto con la cucina e come trascorre il mio tempo libero preferito; e poi del mio amore per qualunque genere di attrezzatura casalinga, tenga impegnata la mia testa su ciò di più ordinario ci sia al mondo: mangiare, ma anche stare bene in famiglia, ovunque sia famiglia.
Sul rullo della cassa scorrono tutti gli acquisti, compreso un set di vassoi di carta che in Abruzzo chiamiamo ‘guantiere’ o ‘guandiere’, a seconda della ‘t’ o della ‘d’ che sostituiamo l’una all’altra a seconda dell’istinto o del comune di provenienza.
Mi guarda con un certo compiacimento perché intuisce che ovunque io viva, non ho smesso di essere l’abruzzese che dispone dolci su generose guan(d/t)iere come conviene, soprattutto nei periodi di festa.
Ecco perché mi sono ritrovata giorni fa a lucidare stampini di alluminio per i parrozzetti del mio Natale a dispetto della presenza di più di una ricetta su questo spazio. La verità è che in questa ‘variazione’ torno all’originale con le mandorle al posto delle noci e soprattutto correggo la glassa, che se lo merita visti gli sforzi per trovarne una definitiva e convincente.
Un anno fa appuravo da mia madre a telefono che i parrozzi a Natale non sono mai abbastanza, ecco perché me ne commissiona sempre più di uno, in considerazione del fatto che mio padre “Il parrozzo della figlia” non lo offre a nessuno per una pura questione di egoismo ed esclusività ‘di sangue’.
Così quest’anno ho pensato di sfornare più parrozzetti per tutti, cosicché soprattutto lui non debba canzonarmi con la solita domanda di sempre :
“Scusi lei (pausa…) ma il ‘mio’ parrozzo qual è?”
Ricetta Originale dei parrozzetti abruzzesi
Ingredienti per la glassa:
- 100 gr di cioccolato fondente;
- 60 ml di acqua.
Ingredienti (per 14 parrozzetti)
- 200 gr di zucchero semolato;
- 3 cucchiai di olio d’oliva;
- 150 g di mandorle dolci macinate con la buccia;
- 150 g miscela di farina di semola
- 7 mandorle amare
- 6 uova;
- scorza grattugiata di arancia,
- 1 cucchiaio di Aurum o Cointreau.
Procedimento:
- In una terrina montare i tuorli con lo zucchero e la buccia grattugiata di un arancio, fino ad avere un composto spumoso
- Unire le mandorle tritate e, in seguito, la miscela di farine, per ultimo unire l’olio e il liquore.
- Montare gli albumi a neve con qualche goccia di limone e aggiungerli delicatamente al composto
- versarlo negli stampini precedentemente imburrati e infarinati
- infornare a 160-170°C per 40-45 minuti, facendo la prova dello stecchino per verificarne la cottura
- A cottura ultimata, estrarre i parrozzetti dagli stampi e lasciarli raffreddare completamente.
Per la glassa
- Tritare il cioccolato fondente e farlo sciogliere in una casseruola dai bordi alti;
- aggiungere l’acqua e mescolare finché il composto non risulterà liscio e omogeneo.
- A questo punto infilzare con una forchetta ogni parrozzetto alla base e intingere nella glassa.
- Sistemare i parrozzetti glassati su una gratella e attendere il tempo di asciugatura della glassa.
Il camino, il parrozzo e la mia nonna. Grazie Laura. Buon Natale. Xxx
Antonella, sono felice che questa ricetta ti abbia riportato indietro 🙂 Un abbraccio!
”Salve ehm… (pausa)” .. Io i miei approcci, fintamente disinteressati, li inizio così, con quella timidezza curiosa che mi rende alla fine pure un po’ spavalda… Chiedo, faccio finta, a volte, di non conoscere le cose per lasciare spazio a chi ho di fronte di potermi spiegare bene come lavora, assaggio e… piano piano, tra un cucchiaino di miele, un pezzetto di formaggio, un morso ad una mela o ad un pomodoro.. mi ritrovo direttamente a covino nel campo a raccogliere erba, entro dentro ad una stanzetta con un calderone di rame dove il latte si trasforma, salgo direttamente sull’albero per prendere la frutta e ricevo in dono del miele ”fermentato” per errore ” che tanto guarda io lo uso per fare idromele… tu prendine quanti barattoli vuoi.. ” Tutto partendo da quell’incipit inizialmente titubante ed insicuro .. ”Salve, ehm..”
Ci assomigliamo davvero tanto cara Lauré, con la differenza che io non ho (ancora) un indomito marito che mi salva dalle ”grinfie” degli utensili culinari, quindi se entrassi dal tuo secondo amico, sì! mi ci perderei…
E’ sempre un piacere leggerti ed attendevo con trepidante emozione il racconto di questa tua vicenda perché sapevo sarebbe stata avvincente come un capitolo romanzesco.
Ah, quanta saggezza in un semplice pezzetto di cioccolato: partecipazione bilanciata degli ingredienti ed amalgama… niente di più e niente di meno…
Grazie infinite compagna di banco meravigliosa…
A prestissimo.
Manù
Ormai cara Manú anche io attendo i tuoi commenti alla fine di ogni post, lo sai?
Il mio ‘secondo’ amico ha un nome letterario ‘Delle vigne’ io ormai a sua insaputa gli ho attribuito il nome di Pier, e questo non fa altro che aumentare la suggestione che Dante in persona me lo abbia messo nel mezzo del cammin della mia vita 🙂
Sono certa che se vedessi il suo negozio ringrazieresti il cielo di non avere un marito che ti trascina via!
Si ci somigliamo parecchio altrimenti, non staremmo al banco insieme 🙂
Manù a prestissimo!
E grazie a te per esserci sempre 🙂
Che poesia in queste immagini e in questo racconto, grazie!
Cercherò di recuperare questi deliziosi stampini… o fare un viaggio in Abruzzo, terra che ho amato fin dal primo incontro…
Ciao Roberta, grazie a te per le belle parole a cui rispondo purtroppo rispondo solo ora per disattenzione. Spero vorrai perdonarmi: ricevere messaggi da chi passa di qua mi riempie sempre di sorpresa e felicità ed esattamente quello che è successo a me quando ho scoperto, anche se in ritardo, la presenza del tuo passaggio!:-D Sono contenta di sapere che hai amato la mia terra dal vostro primo incontro spero continuerai ad amarla anche attraverso le mie ricette e vicende che sempre più spesso ultimamente si ricollegano ai miei luoghi 🙂
Buonasera Laura, complimenti per le tue fantastiche ricette, una domanda, cosa significa miscela di farina di semola? Anna
Ciao Anna, hai ragione grazie al tuo commento mi sono resa conto di non essermi espressa correttamente: in realtà i 150 gr di semola possono essere tagliati con altro genere di farina diventando in questo modo una miscela. Tuttavia io in questa ricetta non ho miscelato la semola con nessun altra farina a parte quella di mandorle.
Ultimamente da quando evito il grano ho preso a sostituire la semola con la farina di mais che per altro rispetta di più ciò che per tradizione il parrozzo vorrebbe. Spero tanto la ricetta ti piaccia!☺️