No, quest’estate non vanto libere donazioni e profferte di doni da parte dei miei alberi, né conserve di frutta e verdura, ma un’intensa attività di panificazione che non teme eccessi di calori da forno né calorie da carboidraiti.
La verità è che la quarantena mi ha regalato il tempo di leggere di metodi e tecniche diverse di panificazione che mi hanno fatto riconsiderare posizioni casalinghe funzionanti, ma inconsapevoli. Una cosa, insomma, che non mi piace quella di fare le cose alla ‘San Fasò’.
“Non fare le cose alla San Fasò!” mi diceva mia madre quando mi accontentavo di farmi tornare i conti così come venivano.
Poi ovvio in cucina ognuno ci sta come crede, ma in questo grande ambiente unico quello che riscontro io è sempre la presenza di due differenti comportamenti: chi cerca una ricetta, la esegue e si dice più o meno soddisfatto senza troppa consapevolezza di pesi e misure adottate; e chi, dall’altra parte invece, cerca un modo di stare e di fare le cose per emanciparsi da questa o quella ricetta di partenza. In quest’ultimo caso muoversi tra libri specializzati da l’euforia del saltare di palo in frasca, del capire meglio e di provare un certo brivido del allontanarsi parecchio dal punto di partenza, anche quando ci si ritrova punto e a capo: e cioè nella propria cucina, scoprendo che quello che si faceva già, andava bene e più che bene. Quindi una bella soddisfazione.
Così è successo a me quando ho deciso di spostare lo sguardo per vedere cosa consigliavano sull’argomento addirittura degli chef: di quelli che noi chiamiamo chef, rispetto a quanto facciano loro stessi invece nel presentarsi semplicemente come cuochi, cuochi e basta.
“Il pane è oro”
“Il pane è oro”: lo dice Massimo Bottura, e anche se il suo libro non parla di pane nello specifico, mi sembra però dica una cosa sacrosanta.
Sono entrata nel suo famoso ‘Refettorio’ spinta dalla curiosità del pesto di Pop corn di cui ho sentito parlare dalla cara Maria Teresa.
Quello che è successo, è che ci ho trovato dentro tutto quello che speravo di incontrare: ‘storie di cucina vera’ sarebbe l’espressione più adatta a rendere l’idea, se non fosse oggi così inflazionata.
Ad ogni modo piani d’acciaio e piatti da osteria sono una buona immagine di partenza per ripulire lo sguardo e le aspettative da qualunque contaminazione iconografica di food styling e food photography, ormai di tendenza. Un buon punto di partenza insomma.
E infatti cibo e ambienti sono rappresentati per quello sono: un limone è un limone e non una sacra reliquia illuminata dallo spirito guida di J.Vermeer e, malgrado ciò, di ‘estetica’ si parla pure.
Etica ed estetica nel cibo
E anzi leggo proprio tra virgolette: “L’etica e l’estetica sono una cosa sola”.
Il concetto era di Wittgenstein, ma Bottura non ha fatto un soldo di danno a declinarlo al mondo della gastronomia, per dire e ribadire cosa è cucina rispetto a tutto il resto di cui molti altri parlano, straparlano e non tacciono.
Etica ed estetica: veramente ci penso spesso anche io, soprattutto in riferimento ad una mia idea di fotografia del cibo, che mi piace in assoluto. Ad esempio istintiva, e così istintiva o almeno apparentemente istintiva, da sfiorare il margine dell’errore. Ma anche realistica, e così realistica o apparentemente realistica, da sfidare anche il ‘brutto’ se possibile, anche solo per ritrovare il bello.
Alberto Calamandrei
Ad ogni modo tra le storie e le foto che ho amato di più, c’è quella di Alberto Calamandrei: non uno chef, ma un ingegnere informatico in pensione alle prese proprio con il pane.
Ecco, e io lo dico sempre che se potessi riscrivere la mia storia eviterei tante scartoffie che pure ho tanto amato, accontentandomi di poter per lavare l’insalata in una cucina stellata o, almeno, in quella di una scuola di cucina.
L’occasione del Signor Alberto, in realtà, si è materializzata con l’arrivo di Sara Papa al Refettorio: proprio Sara Papa di cui mia madre parla ancora oggi e di più ai tempi della Clerici e della ‘sua’ popolare prova del cuoco.
La verità è che tutti quelli che piacciono a mia madre in genere non piacciono a me o, forse, non piacciono a me proprio perché piacciono a lei, ed è difficile venirne a capo. Ma è per questo fitto e intricato pasticcio freudiano della relazione madre/figlia, che non ho mai letto il suo libro, nonostante sia in mio possesso, nonostante la dedica sulla prima pagina: “Per vincere la tua proverbiale diffidenza! Mamma”
Quella sarebbe stata l’occasione più immediata e a portata di mano per cominciare, e invece no. C’era bisogno, molto probabilmente, di un’operazione di concerto: e cioè di un pesto di pop corn per entrare nel Refettorio di Massimo Bottura, conoscere il Signor Alberto Calamandrei e ritrovarmi faccia a faccia con Sara Papa e proprio Sara Papa!
“Lievito madre vivo”
“Mi porti, per favore, il libro di Sara Papa?” – ho chiesto a mio marito il giorno in cui dopo aver apparecchiato un tavolo pieno di libri da leggere, mi sono accorta del libro che mancava. Li leggo così, a seconda dell’argomento e delle intenzioni, tutti insieme: una specie di letteratura comparata a volerla proprio nobilitare.
“Sara Papa come mi faccio perdonare adesso? e perché, a parte la Clerici e mia madre, di te ho così poco sentito parlare nel mio ambiente socialmediaristico che tutto media?
Così il giorno in cui ho sfogliato attentamente il suo libro a colpirmi non è stata la proposta dedicata alle ricette che anzi è un po’ limitata, ma la coerenza ad una sua idea di panificazione, la stessa che in effetti si ritrova nella sua esperienza al Refettorio: una specie di pensiero unico sul pane e il modo di realizzarlo.
A questo si aggiunge un punto di forza che non mi è mai capitato di trovare nei libri dedicati alla panificazione: ogni ricetta di pane si presenta nella doppia versione ‘pasta madre solida’ e ‘pasta madre liquida’. Dalla equiparazione delle due versioni si può imparare molto in fatto di dimestichezza nella conversione di ingredienti e quantità a seconda del tipo di lievito che si usa.
Poi di pane in pane mi sono ritrovata sugli impasti al burro, ma non è stato un caso! E anzi la colpa è di Pierre Hermé se compro burro in estate: una cosa che mi sembra ancora inconcepibile se ci penso bene, ma il fatto è che compro burro lo stesso.
Pretzel: un giro di Peppa
E proprio tra le proposte al burro di Sara Papa ecco che lo sguardo mi cade sui Laugenbrot: proprio quelli che Heidi rubava e stipava nel suo armadio di Francoforte per la nonna di Peter.
L’impasto mi ha colpito particolarmente per la sua somiglianza a quello dei pretzel, malgrado la ricetta, pubblicata sul mio blog qualche anno fa, non mi abbia mai del tutto convinto.
E in realtà anche in questo caso quello che avevo fatto era stato: cercare una ricetta, eseguirla alla San Fasò senza comprenderne il risultato.
Di tanta ingenuità, in realtà, mi sono convinta il giorno in cui Benedetta Jasmine mi ha scritto parole belle e piene di gratitudine che non pensavo di meritare in fatto di lievitati, con un occhio di riguardo proprio per i pretzel con licoli a suo dire perfetti.
Così nel tentativo di capire il successo dei pretzel a casa di Benedetta: io e Sara Papa ci siamo messe all’opera senza particolari variazioni sulla ricetta, ma solo sui metodi e su qualche accorgimento.
Il risultato sorprendente è stato quello di un prezel assolutamente diverso da quello che anni prima mi sono limitata a cercare, eseguire, assaporare ma anche fotografare e pubblicare.
Indubbiamente si è trattato di un assurdo ‘giro di Peppa’ quello del saltare di palo in frasca tra nomi noti e lontani dal mio mondo per poi ritrovarmi al punto di partenza della mia cucina e con un pretzel che pensavo di conoscere già. I giri di Peppa sono cosi: utili a tornare al punto di partenza ma senza lo spettro di San Fasò accanto.
Buoni sono buoni questi ‘nuovi’ pretzel: così ricorsivamente avvitati su se stessi da apparire esteticamente ed eticamente una cosa sola.
Pretzel: prima e dopo
- Partendo da 500 gr di farina di impasto in cui sarà introdotto del grasso come il burro si può ridurre la quantità di licoli anche fino a un minimo di 90 gr, anche se il questo caso io ho preferito mantenere inalterate le quantità della precedente ricetta.
- Ho sostituito la farina Manitoba con della farina Buratto (farina 2 biologica e macinata a pietra) , due mondi estremamente differenti ma che non variano il risultato in termini di lievitazione e di gusto, ecco perché in questo caso vale la pena eliminare dove possibile una farina estremamente raffinata come la Manitoba.
- Solo aumentando la quantità di bicarbonato di sodio ben oltre i tre cucchiai, sono riuscita ad ottenere l’effetto brunito che nella precedente versione non ero riuscita ad ottenere.
- Formatura dei pretzel: viene meglio lavorli quando l’impasto è freddo di frigo. Ecco perché consiglio questa operazione subito, appena tirato fuori l’impasto dal frigorifero. Solo dopo aver formato i pretzel si lasciano lievitare riportandoli a temperatura ambiente.
Ricetta rivisitata dei ‘nuovi’ pretzel
Ingredienti per 8 pretzel:
- 225 gr farina di grano tenero tipo “0”;
- farina buratto 200 gr;
- acqua 200 ml;
- licoli attivo 150 gr;
- cucchiaino di miele ½;
- burro morbido 40 g;
- 1 cucchiaino di sale + un po’ da aggiungere alla fine (io quello integrale).
Per glassare:
- acqua 2 l;
- 120 gr bicarbonato di sodio;
- sale 1 cucchiaino.
- Per decorare: semi di sesamo e papavero + sale.
Procedimento:
- In una ciotola capiente sciogliere il licoli con l’acqua tiepida e il miele.
- Aggiungere le farine e aspettare che l’impasto si incordi, quindi unire burro e sale e lasciate incordare nuovamente l’impasto.
- Fare due giri di pieghe e coprire con della pellicola, quindi riporre in frigorifero fino alla mattina successiva.
- Prelevare l’impasto dal frigorifero e procedere subito alla formatura dei pretzel dividendo l’impasto in 8 porzioni di uguale peso.
- Allungare ogni porzione di impasto in cilindri lunghi circa 80 cm. Per la corretta formatura dei bretzel bisogna incrociare le due estremità, rigirare due volte e attaccare le punte al bordo inferiore.
- Una volta pronti, adagiarli su una teglia da forno precedentemente infarinata perché i pretzel non si attacchino al fondo.
- Coprire con un canovaccio, lasciar lievitare per 30-40′.
- Portare a ebollizione l’acqua con il sale e il bicarbonato e scaldate il forno a 190°C.
- Far bollire un pretzel alla volta, finché non vengano a formarsi le classiche crepe sulla superficie del pane. Prelevarlo con una schiumarola, quindi adagiarlo su un canovaccio per lasciare assorbire l’acqua in eccesso e decorare con sale e semi di sesamo e/o papavero.
- Una volta asciutti, disporli nuovamente su una teglia ricoperta con carta da forno e infornare finché risulteranno di colore brunito (circa 20 minuti).
- Sfornare e lasciare raffreddare.
- Per evitare induriscano dopo il primo giorno è consigliabile congelarne una parte e in modo da mangiarne ogni giorno come fossero appena sfornati.
Che poi di burro son solo 40 grammi.. Laurè.. praticamente un velo! <3
Torno domani…sta sera son troppo stanca per stare al pc e anche per godere di questa vicenda qui.. Vado a fare i piatti…
A presto.
Manù
Vorrei tanto capire perché le madri, i Santi e i detti viaggino sempre a braccetto… ”Fare le cose alla San Fasò” e ”rimanere a San Giuseppe”…. mi ha detto sabato mia madre…. tutta colpa di uno stampino da biscotti caduto(mi) diverse volte e che è stato preso come spunto per uno di quei giochi infantili in cui un oggetto ti cade tante volte dalle mani e quindi decidi che la sua iniziale indica un qualcuno che ti sta pensando….
”se, San Giuseppe!” ho detto io…
”ah! San Giuseppe! hai preso proprio quello giusto! “sei rimasta a San Giuseppe” dicevano i vecchi… sai Manu che lo dicevano alle ragazze che non trovavano marito e rimanevo zitelle?” dice lei con fare serafico?
Io….. ”mamma….” con una faccia che era un mix di ”ti sembrano cose da dire ad una fanciulla graziosa come me e .. ok, scordati tutte le banane spiaggiate da qui all’eternità”… ma mi sono limitata ad accovacciarmi e raccogliere per l’ennesima volta l’oggetto del misfatto….
Sai… parlando di cose serie, anche se in realtà mi viene da sorridere lo stesso, io e l’estetica (nel senso generale del termine per adesso) abbiamo uno strano rapporto, ma da circa 4 anni è la missione impossibile del mio terapeuta ”Nardox”, come lo chiamo io…Estetica personale ed estetica del piatto, che si traduce in togliti quella maschera da puffo quattrocchi e tira fuori la tua femminilità, e cucina quello che ti va e ti piace di più, ma cura tutto dall’inizio alla fine e soprattutto la presentazione del piatto.. In entrambe i casi, il fine ultimo è uno solo: AMATI e CURATI dall’esterno per arrivare all’interno (nel caso della femminilità) e dall’interno per arrivare all’esterno (nel caso del cibo)…. Ora, lo sanno anche i muri che io sono un orso e che truccarmi, vestirmi bene, mettermi carina, è proprio una cosa che non riesco a fare, o meglio non nel quotidiano come invece lui vorrebbe io facessi (e quindi sull’estetica personale non è che abbia avuto tanto successo), ma l’estetica del piatto riesco a curarla un tantino di più.. (anche se a volte scivolo su San Fasò, soprattutto quando sto da sola in casa e cucino soltanto per me.. (mentre sarebbe proprio quello il momento più opportuno) mannaggia la Peppa!) .., Quindi si.. in effetti ”Etica ed estetica sono una cosa sola”….
Per quanto riguarda la fotografia,e quindi l’estetica del piatto in questo senso, io in realtà non ci capisco molto, ma posso darti un mio modestissimo parere che è questo… : adoro che “il limone sia un limone e non una reliquia illuminata dallo spirito guida si J. Vermeer!” .. quindi amo le foto reali, vere, che non siano costruite, o meglio che lo siano, ma che non ostentino costruzione… mi piacciono le fotografie che non vogliono assomigliare a dei quadri, che non si (s)forzino di essere perfette, perché le fotografie sono scatti, in cui viene fermato un attimo di tempo, anche in un piatto o in una ricetta.. non so se riesco a spiegarmi (come vedi io non ho paura né del caldo (combatto l’afa a suon di pane e biscotti in alto forno), né dei carboidrati, ma i miei due neuroni se stanno a brucià!) .. non dico che non si debba allestire un set, ci mancherebbe, ma come si dice.. ”il troppo stroppia” ecco…
Per il resto, ma sai che io di Sara Papa ho dei ricordi confusi e un po’ nebulosi, nonostante io seguissi assiduamente e quotidianamente la Clerici nel suo programma? .. ma, va a capire.. comunque secondo me ti ha perdonata alla grandissima…. fidati! ..e puoi sempre, comunque spedirle un po’ di pretzel, no? ;)…
Io ovviamente, appartengo alla seconda categoria di persone, per quanto riguarda la ricerca-riproduzione delle ricette e, molto spesso finisco pure per intortarmi e fare un sacco di giri di Peppa, per poi si, ritrovarmi al punto di partenza ed accorgermi che.. la prima mia versione era quella giusta, o meglio era già buona!.. Hai proprio
ragione!
Bene.. secondo me ho detto tutto.. (ho scritto come sempre troppo!)….
Un bacio caldissimo….
ti abbraccio fortissimo..
Manù!
Tu fai bene a scrivere ‘troppo’ perché è questo lo scambio che a me sembra ‘esteticamente ed eticamente’ una cosa sola. 😀 In realtà era questo lo scopo dei blog e con te so che tutta l’attività del cucinare fotografare e raccontare mantiene inalterato dopo tanti anni esattamente il punto della situazione.
‘Nardox’ questo nome mi fa pensare a quello di una possibile serie tv, a te che ne sei stata l’ideatrice invece cosa ha fatto pensare quando l’hai scelto?
Riguardo etica ed estetica, si Nardox ci prende e fa bene il suo lavoro secondo me: perché io ricordo che la storia della mia inappetenza si interrompeva quando a offrirmi del buon cibo erano donne di famiglia bellissime che per me erano e sono ancora oggi un esempio di femminilità cui tendere. I bambini ce l’hanno questo vizio di vedere la bellezza anche nei mille aspetti di una persona e nei suoi mille modi, per cui se a imboccarmi era mia zia o mia nonna io mangiavo tutto e direttamente dalle loro mani, se invece era mia madre qualcosa non andava anzi non scendeva proprio giù. In realtà negli anni quello che ho capito attraverso il cibo e che mi piaceva sempre là dove si abbinava a persone e stili di vita che mi piacevano ed è così che ho trovato forse la mia estetica chi lo sa.
Sara Papa in questi giorni mi sta insegnando a fare il licoli dopo che il mio è finito miseramente per una mia imperdonabile distrazione: penso seguiranno altre vicende sulla questione Manù 😉
Come vedi anche io scrivo ‘troppo’ ma è quel ‘troppo’ che mai ‘storpia’ in questo caso 😉
Un abbraccio fortissimo Manù!!!
Sai Laurè, ‘Nardox’ in realtà si chiama Giorgio Nardone e questo mio nomignolo gliel’ho attribuito dopo un po’ di tempo che frequentavo il suo ‘Centro di Terapia Strategica’ (questo si chiama proprio così)…. mi è sembrato come se entrassi a far parte di una squadra, capitanata appunto da Nardox come agente super segreto, che aveva una missione super impossibile…. la mia! Certo, non è Tom Cruise, però… l’importante è la riuscita della missione..
Mi hai fatto riflettere con la tua vicenda del cibo e delle donne di famiglia, su una cosa… Avevo fatto una specie di tuo ragionamento un po’ di tempo fa, ma me lo ero scordato e riguardava la colazione…Da piccola, fino verso le medie ca, ho sempre fatto colazione.. poi, alle superiori, credo iniziasse già da lì a manifestarsi il disagio, ho smesso…Sono rare le mattine in cui mi alzo ed ho fame e questo aveva permesso alla parte non sana della mia testolina di fare questo ragionamento :” non sento fame, non ho bisogno di fare colazione la mattina”… poi però ovviamente non facevo nemmeno merenda alle 11.00 a scuola, perché comunque poi alle 13.40 rientravo a casa e quindi sarebbe passato troppo poco tempo da poter giustificare la seduta a tavola per il pranzo, quindi tiravo dritto dalla sera al pranzo del giorno dopo… Ho fatto tutti e 5 gli anni così ed anche all’università.. (ormai l’abitudine l’avevo presa..), poi ovviamente mi sono ammalata una prima volta e figurati se un’anoressica si fa la colazione! e così via… anche quando ero ”tornata in bolla” dopo la prima botta non la facevo più…NON MI SERVIVA PIU’… Poi è arrivata la Rossi…. che con la sua casetta Vaniglia mi ha fatta entrare in un mondo meraviglioso… lei era troppo uguale a me in alcune cose, per il modo di esprimersi, per i gusti (anche rispetto al cibo), addirittura per i cartoni animati… e quindi ho iniziato ad amarla, a volerle bene, ad avere stima di lei… mi piaceva un sacco.. e quando leggevo delle sue preparazioni per la colazione, magari un pane fatto con miele e noci, oppure dei biscotti o una torta… mi dicevo ”ma guarda Manu come si vuole bene la Rossi, anche tu devi fare così” e piano piano ho ripreso a mangiare la mattina, scoprendo non solo che poi a metà mattina avevo già fame e quindi potevo farmi pure la merenda, ma soprattutto scoprendo che MI PIACEVA fare colazione… e ho pensato: “ma quanto son stata cretina!” . Poi vabbè mi sono ammalata di nuovo e allora la colazione la decisa Nardox (dovevo assolutamente ripigliamme se non volevo essere ricoverata e quindi ci andava giù pesante con le quantità, perché le cose … quelle le sceglievo io!… come per tutti i pasti.. solo che sembravo una specie di porcellino da ingrasso), però… da quando ho ripreso a farla, non ne posso fare a meno….
Tutta sta paturnia per dirti che è vero e che non solo da bambini tendiamo a vedere la bellezza delle persone nei suoi mille aspetti ma anche nei suoi mille modi… lo facciamo anche da grandi.. (io per lo meno si! e dire ”adulta” mi stona un po’… non ho ancora la maturità giusta per definirmi adulta ahahah!) …
Quindi grazie per avermi fatto ricordare questa cosa… <3
ps: il mio Greg staziona in frigorifero, accudito settimanalmente per ora… 😉 quando avrò l'ispirazione partirò….
Tu, son sicura, sfodererai una creatura migliore di quella che malauguratamente hai perso..
un abbraccio forte.,
vado a fare colazione!
Manù