La questione è diventata ‘filologica’ nel momento in cui, a proposito di mandorle, mia madre al telefono ha detto: “…rimuovere dal fuoco appena si inc(g)illippano”. E cioè?

La questione è diventata ‘filologica’ nel momento in cui, a proposito di mandorle, mia madre al telefono ha detto: “…rimuovere dal fuoco appena si inc(g)illippano”. E cioè?
Non esistono varianti di una ricetta quando dosi e ingredienti sono sempre gli stessi, in questo caso esiste “la” ricetta e basta.
Una Pasqua è fatta così: come una pizza dolce lievitata, soprattutto se ci si trova in Abruzzo. E anche se quest’anno cause di forza maggiore mi impediscono di svalicare l’Appennino e sprofondare nell’abbraccio stretto della mia famiglia, gli ‘umori’ del mio mondo più intimo ci sono sempre.
Una famiglia tutta uguale nei volti, tutta uguale nelle inclinazioni è soprattutto una famiglia come la mia. Una specie di mania ci contraddistingue nella pratica di non alterare troppo il presente dal passato. Là dove possibile controlliamo il futuro: a tu per tu gli chiediamo di non cambiare troppo l’esistenza a cui ci siamo abituati.
Cinque minuti alle tre del pomeriggio di uno degli ultimi giorni dell’anno, ho scattato una foto alla luce perpendicolare sulla Torre dell’orologio di Todi. In quel momento non pensavo a cosa sarebbe accaduto cinque minuti più tardi semplicemente perché lo ignoravo. Qualche certezza del nuovo anno, invece, c’era già:
Rea confessa ecco la verità: in effetti non sono certa che la farina fosse ‘di forza’ e la ‘previsione’ del palloncino glutinino che perde aria da un buchino impercettibile forse si è compiuta, proprio come in questi casi si compie. Ad ogni modo è un venerdì sera.
C’è gente là fuori, per strada, che di tante cose non sospetta cosa stia facendo proprio io dentro casa. Prima o poi questa gente arriverà a destinazione e se suonerà al mio campanello di domenica scoprirà che il pranzo è abruzzese.
Non sono moltissime le avventure che può ricordare un personaggio non interessato al burro, soprattutto se ci riferisce ad un onnivoro. Ma un indizio fondamentale è che quel personaggio sono io.
Noi le chiamiamo ‘cene franzose’, al posto di ‘cene francesi’, ma la verità è che sono le cene prenatalizie: quelle sul tagliere di tartine e terrine, da mangiare rigorosamente con le mani e a gambe incrociate sul tappeto. Possibilmente tete à tete.
Il sentimento di tragedia che si impossessa di due amanti al momento di un inevitabile congedo può essere straziante, anche grazie a tutta una retorica di parole, salvata a memoria negli anni, e che all’occorrenza può assicurare una gran bella figura. Ma a seconda dei casi. E a seconda delle parole.
La geografia può confermarlo: le pizzelle e io siamo abruzzesi. Un dato di fatto che fino ad oggi l’anagrafe ha sempre dimostrato. Ecco perché l’eccezionalità della questione rende l’argomento personale, unilaterale e squisitamente partigiano.
C’era un gradino a Casoli, proprio al centro del Corso principale. A sinistra, la Chiesa di Santa Reparata e a destra, il bar di Peppe Ciccione. Il ‘sacro’ da una parte, il ‘profano’ dall’altra e io avrei potuto scegliere da che parte andare, se non fosse che nel bel mezzo, proprio al centro del corso […]
Nel lungo periodo che ha visto me e il mio amico gambero lontani, e impossibilitati a comunicare come a noi piace tanto, sprovvista di carapace protettivo, ho pensato bene di trovare rifugio dentro un raviolo.
Mia nonna Ida, quando mi vedeva con un libro in mano, mi chiamava “ignorante” scandendo per bene ogni sillaba: “I-GNO-RAN-TE!”. Poi scoppiava a ridere e invitava me e il mio libro a fare una pausa, magari in cucina, e a sederci nell’angoletto da cui seguire i suoi movimenti. E i suoi movimenti stessi erano le […]
Una piazza per me è una bella piazza se oltre al passaggio offre una sosta. E se oltre alla sosta offre una seduta. Se poi la seduta non è un muretto né lo scalino di un portone d’ingresso e neanche il bordo di una fontana, allora potrebbe trattarsi di una sedia comoda, dietro un piccolo […]